La Nuova Sardegna

Un’Europa sempre più «germanocentrica»

Renzo Guolo

L’Italia è rientrata a pieno titolo, ma il no di Londra rafforza la Merkel

11 dicembre 2011
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È un'Europa nettamente “germanocentrica” quella che esce dal vertice di Bruxelles. La Merkel impone l’unione di bilancio e non molla sugli eurobond, che pure restano allo studio della Commissione europea. Strumento, quello del “patto di bilancio”, che obbliga a maggiore disciplina i paesi dell’eurozona e comporta cessione di sovranità nazionale in materia economica e fiscale a un’Europa guidata decisamente da Berlino. La Merkel ha potuto contare sull’appoggio decisivo di Sarkozy, che ha tenacemente perseguito il mantenimento dell’asse franco-tedesco in prospettiva neomitterandiana: imbrigliare la Germania, come ai tempi della rapida riunificazione tedesca in cambio dell’euro, per impedirgli di dominare da sola o addirittura di andarsene. Un’Europa a due velocità, dalla quale è rimasta fuori solo la Gran Bretagna, paese storicamente euroscettico che non ha adottato la moneta unica e ha sempre concepito lo spazio europeo come mera area di libero scambio.

Londra non intendeva accettare regole per la finanza della City e per le sue banche; e ha rivendicato strenuamente la difesa dei suoi interessi nazionali. Una deriva neoisolazionista, quella di Cameron, aspramente criticata da Sarkozy; e che lascia davvero sola la Gran Bretagna. Non è un caso che l’opposizione laburista non abbia affatto condiviso l’intransigentismo del conservatore Cameron. In questi frangenti Londra non può contare nemmeno sulla tradizionale sponda atlantica: l’America di Obama ha cercato in tutti i modi di favorire un accordo che salvasse l’euro. Consapevole che un tracollo della moneta europea avrebbe pesanti effetti a catena anche sugli Stati Uniti.

A cercare di tenere nel gioco la Gran Bretagna è stata, sino all’ultimo, l’Italia. Gran conoscitore dei meccanismi europei,. Monti ha cercato di evitare il rafforzamento dell’asse franco-tedesco. Priva del contrappeso londinese il direttorio Berlino- Parigi ha inevitabilmente più spazio: ma le egoistiche posizioni britanniche erano indifendibili. A preoccupare l’Italia è anche l’accentuazione della dimensione intergovernativa a scapito della dimensione comunitaria. Un dislocamento che registra i rapporti di forza nel pieno della tempesta sull’euro ma che non di meno preoccupa Roma, che proprio nel metodo comunitario ha sempre trovato le sue garanzie. Il governo italiano, dopo la lunga parentesi berlusconiana che ci ha messo ai margini in Europa, è comunque tornato a pieno titolo tra i partner europei. Giocando un ruolo condizionato dalle condizioni della nostra finanza pubblica ma non certo di secondo piano. Tanto più dopo il varo della recente manovra.

Basterà tutto questo a salvare l’euro? Non è detto ma l’armonizzazione delle politiche di bilancio conferisce maggiore credibilità a una moneta che alle spalle non ha né uno Stato né una banca centrale capace di intervenire come prestatore di ultima istanza. Quanto alla Bce, un accordo con regole e pesanti sanzioni nei confronti dei trasgressori era stato evocato proprio da Draghi come unica soluzione realistica in presenza del veto tedesco agli eurobond. La resistenza della Merkel sulla Bce è stata parzialmente ammorbidita da Sarkozy. Francoforte gestirà il nuovo Fondo “ salva Stati”, salito a 500 miliardi di euro; anche se le decisioni continueranno a essere prese dai governi dell’Eurozona. Ma non all’unanimità bensì con una maggioranza dell’85%.
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