La Nuova Sardegna

Poligono di Quirra sotto sequestro, fuori i pastori e i contadini

Valeria Gianoglio
Il murale degli Anni 50
Il murale degli Anni 50

Dopo aver studiato la richiesta del procuratore Fiordalisi, e aver ravvisato i gravi indizi di un disastro ambientale, il gip di Lanusei firma il primo decreto italiano che dispone il sequestro preventivo di un intero poligono militare

13 maggio 2011
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PERDASDEFOGU. «Il latte? Il caseificio non ce lo compra più da mesi, forse non si fida. Ormai mungo le capre solo per evitar loro la mastite. Non vendo più né casu agedu né formaggi. È una tragedia per noi tutti». Viso cotto dal sole che batte a picco sull’altopiano di Perdasdefogu, sguardo puntato sul pentolone dove la schiuma bianca comincia ad addensarsi, Costanzo Carta, al poligono, ci è praticamente nato. Responsabile della Coldiretti del paese, pastore lui, pastore per una vita il padre, 480 capre che sino a ieri pascolavano beate nella vecchia pista dei razzi del poligono di Quirra, a Is Mureddas.
«Cinquant’anni - ripete - sono quasi cinquant’anni, dal 1965, che frequento questo posto e non ho mai avuto problemi. Ma ora: che fine faranno le mie capre? Dove le porto?». Costanzo Carta non è arrabbiato, piuttosto animato da una sorta di rassegnata disperazione. La stessa che The day after il decreto di sequestro del poligono - disposto dal gip Paola Murru che accoglie in pieno le richieste del procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi - con annesso «divieto assoluto di qualsiasi attività agropastorale» avvolge come un manto i pastori di Quirra.
I contributi perduti. Sono le 12 di ieri mattina, in cielo non c’è neppure una timida nuvola, tra bar e municipio non si parla che di “sequestro del poligono” e a Perdasdefogu la gente si chiede «che facciamo?». Nella piazza centrale del paese, la responsabile zonale della Coldiretti, Carmina Lorrai, tira fuori dall’auto alcune bandiere con il simbolo dell’associazione e le issa come fieri pennoni gialloverdi davanti al municipio. Comincia il conto alla rovescia per l’assemblea promossa dalla Coldiretti ieri sera per fare il punto della situazione. «È ormai improcrastinabile l’apertura di una tavolo tecnico tra Regione, ministero della Difesa e tutti gli altri enti interessati - dice il direttore di Coldiretti Nuoro-Ogliastra, Aldo Manunta -. Quest’anno e per il futuro le aziende hanno ormai compromesso le produzioni nonché i premi comunitari. La Regione deve prevedere misure specifiche a ristoro del reddito». «Il sequestro - aggiunge il direttore Coldiretti Sardegna, Luca Saba - avrà effetti devastanti sull’intero tessuto agricolo dell’area di Quirra. La Regione deve assumere un forte impegno per colmare le perdite di reddito dei pastori». Gli allevatori, nel frattempo, non stanno con le mani in mano. «Non sappiamo proprio come fare, adesso - dice Costanzo Carta - sto facendo del formaggio che nessuno, purtroppo, vorrà comprare. E poi c’è un’altra questione aperta: visto che il caseificio non sta prendendo il nostro latte, molti di noi perderanno i contributi de minimis e diversi altri soldi».
I pastori “confinanti”. Accanto a lui, annuisce con decisione, Francesca Locci. Trentadue anni, una figlia adorata, un marito, Massimo Orrù - è il figlio del primo pastore riesumato di Perdas - al quale è legata da quando aveva 18 anni, e tantissimi sogni. Francesca e Massimo sono una giovane coppia di allevatori “confinanti”. Quelli, cioè, che hanno l’ovile al confine del poligono, nella zona di Arbu Racesu, ma che pagano una quota ogni anno - è di circa un euro e cinquanta per ogni capo di bestiame - per consentire alle loro caprette barbute di sconfinare, a volte, anche nel terreno della base. «Io non ce l’ho con nessuno - Francesca ci tiene a dirlo - perché è giusto che se c’è inquinamento e pericolo per la salute, questo si accerti. Chiedo solo che si accerti subito e che qualcuno ce lo dica una volta per tutte con tanto di prove certe». Si ferma per un istante, la giovane Francesca. Butta uno sguardo al marito che apre il recinto dell’ovile, pulito e lindo come una casa, e lascia che le sue capre pascolino verso la libertà. «Avevamo tanti sogni - commenta la giovane allevatrice - io e Massimo abbiamo seguito anche due corsi per lavorare il formaggio, volevamo aprire un piccolo caseificio. Ma adesso, sembra che sia tutto finito: sino all’anno scorso riuscivamo a vendere tutto il latte e il formaggio, ora invece, siamo alla frutta. Siamo costretti a buttare il latte. C’è gente, a Perdas, che ne sta buttando anche trecento litri al giorno. Non si può andare avanti così, ce lo devono dire che fine faremo, dove dobbiamo portare i nostri animali. Qui rischiamo tutti di morire di fame dopo tanto lavoro e sacrifici».
La “pasionaria”. Anche “zia” Francesca, ieri mattina, è in agitazione da presto. Francesca non è il suo vero nome, ha chiesto lei di essere protetta per una sorta di immotivata paura del giudizio altrui. Ma è un vero pezzo di storia del poligono. Sessantasette anni portati con l’energia di una ventenne, marito artigiano, una smisurata passione per la campagna, una quindicina di vacche e tori che chiama con i nomignoli affettuosi di Marcella, Pasquala e Arangino, e che pascolano in un terreno che sta all’interno del poligono. Lei, la base, la difende con le unghie e con i denti. «Io me lo ricordo quando l’hanno aperta - racconta - ci hanno salvato dalla fame, ci hanno dato lavoro. Quando eravamo piccoli ci davano il rancio, i grembiuli e le coperte. Perché a Perdas eravamo tutti abbastanza poveri». «Sì, ha ragione - aggiunge Francesca Locci - ma poi, evidentemente, hanno anche inquinato».








PERDASDEFOGU.
Fuori tutti. Sessantadue pastori, tremila capre, 670 pecore, 960 buoi, 30 maiali, una dozzina di agricoltori con i loro vigneti, e persino i pesci di una cooperativa ittica nella zona di Capo San Lorenzo. In totale 4660 capi di bestiame. Alle 8 di ieri, dopo aver studiato la corposa richiesta del procuratore Domenico Fiordalisi, e aver ravvisato i gravi indizi di un consistente disastro ambientale e il conseguente pericolo per la salute umana, il gip di Lanusei, Paola Murru, firma il primo decreto italiano che dispone il sequestro preventivo di un intero poligono militare.

E il conseguente «divieto assoluto di qualsiasi attività agropastorale» in circa 130 chilometri quadrati di superficie. Mentre le attività militari possono proseguire. È il D-day dell'intera inchiesta. Fuori tutti dai dodicimila ettari del poligono: stavolta è un giudice che lo dispone. Fuori qualunque persona che non abbia una divisa e le stellette, fuori gli allevatori che da tempo immemore convivono con i militari e i test che si fanno nel poligono. Fuori chiunque non sia autorizzato dalla Difesa.

Sorgenti vietate. Tutti alla larga anche dalle acque che nascono e si sviluppano nel poligono. Visto che con un altro decreto di ieri, il procuratore Fiordalisi dispone il sequestro probatorio delle sorgenti, dei corsi d'acqua che nascono dal bacino del rio Quirra e del sistema di accumulo e di condutture idriche che dal poligono attraversano diversi paesi e arrivano a Villaputzu e alimentano la frazione di Quirra ma, secondo alcuni testi, «potrebbero giungere all'intero comune di Villaputzu». La squadra mobile nuorese guidata da Fabrizio Mustaro e la Forestale, su disposizione della Procura, mettono sotto sequestro probatorio anche le sorgenti, i canali, persino i pozzetti artificiali e di raccolta delle acque che partono dall'area a monte delle zone Torre gigli e 'Accu Perda majori e confluiscono nel rio Quirra. Secondo la Procura della Repubblica di Lanusei, infatti, e alcune delle testimonianze che ha raccolto negli ultimi giorni, esiste il preciso sospetto che si tratti di acque inquinate dalle attività militari, visto che partono o vengono raccolte vicino alla zona dove si fanno i brillamenti, e poi riforniscono le case della frazione di Quirra. La ricostruzione del loro percorso è stata fatta dagli uomini del corpo forestale e dagli agenti della squadra mobile nuorese e della scientifica.

Le analisi del tossicologo. La Procura e alcuni suoi consulenti, insomma, seguono un preciso filo logico: alcuni testi e consulenti hanno accertato che in alcune zone del poligono il terreno è inquinato da sostanze frutto dei test e dei brillamenti e dalla presenza di rottami metallici. Il tossicologo Pierluigi Caboni ha evidenziato la presenza di «metalli pesanti tossici, come cadmio piombo e antimonio in misura superiore al normale». Se queste sostanze esistono nel terreno, sostiene in sostanza la Procura di Lanusei e gli uomini della Mobile, allora possono essere passate nelle acque che poi arrivano in diverse case a valle. Le stesse acque nelle quali, è un altro sospetto, si potrebbe essere abbeverato l'agnello a due teste con tracce al suo interno di uranio impoverito che è stato analizzato a Bologna dal fisico torinese Massimo Zucchetti con il suo collaboratore Massimo Esposito.

Fine della convivenza. Eccolo qui, dunque, il "D-day" dell'inchiesta su Quirra. Il giorno che era nell'aria da tempo ma che nessuno, forse, si aspettava che arrivasse così in fretta, a quattro mesi esatti dall'avvio dell'indagine. Una giornata storica. Perché è dal 1956, dall'anno nel quale nasce il «poligono sperimentale e di addestramento interforze del salto di Quirra» che militari e pastori convivevano nello stesso terreno. È dallo stesso anno che il ministero della Difesa, probabilmente tenendo conto anche delle caratteristiche economico-sociali della zona, decide che non è il caso di far sloggiare i pastori dall'area. E che stellette e bestiame, entro certi limiti, possono convivere senza troppi problemi. Viene studiato anche una sorta di regolamento per la convivenza. Stabilisce, ad esempio, che gli allevatori non possono entrare nelle zone che vengono delimitate e segnalate prima di ogni esercitazione. Stabilisce anche che nelle giornate nelle quali, a causa dei test militari, gli stessi pastori non possono operare, hanno diritto a un indennizzo. E in tanti lo chiedono nelle giornate di magra. La convivenza fila liscia a lungo, per tantissimi anni. Il poligono si intreccia con i pastori, con la stessa vita di Perdasdefogu dove ha sede il comando dalla base. È fonte di lavoro per i civili, ci scappano anche diversi matrimoni "misti".

Il murale. La base si fonde nel paese, diventa carne della sua carne. Un episodio della fine degli anni Cinquanta è illuminante a questo proposito. Nel terreno del poligono i militari non riescono più a recuperare un missile che era stato esploso durante un test. I pastori offrono la loro collaborazione e lo trovano. Lo trasportano al sicuro con un carro a buoi. C'è un murale, a pochi decine di metri dal cimitero di Perdas, che racconta questa storia d'altri tempi. Oggi, evidentemente, i tempi sono cambiati. Da ieri la convivenza, questo mix complicato ma viscerale tra divise e civili, per i giudici non s'ha più da fare.

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