La Nuova Sardegna

Stefano Lai, nato a Escalaplano, cagliaritano d’adozione con la vocazione del pastore riacquisisce i terreni dei nonni e fonda una coop

Dall'università all'ovile, andata e ritorno

Pierluigi Carta
A sinistra Stefano Lai A destra Pietro Pitzalis pastore della cooperativa
A sinistra Stefano Lai A destra Pietro Pitzalis pastore della cooperativa

Allevatore e apicoltore, vende miele in Giappone e produce un pecorino aromatizzato all'olio di lentischio

01 febbraio 2011
3 MINUTI DI LETTURA





 CAGLIARI. Tra i bacini di Flumineddu e Mulargia, nelle campagne di Escalaplano, pascolano le 200 pecore di Stefano Lai, 38 anni, escalaplanese di nascita, cagliaritano di adozione, che ha preferito seguire la vocazione dei nonni, piuttosto che scegliere la più comoda via della terziarizzazione.  La sua cooperativa, o "comunella", come preferisce chiamarla, viaggia in ottime acque e "incredibilmente" non ha debiti. Una mosca bianca in questa buia epoca del settore agropastorale. Stefano Lai ha seguito i genitori verso la città quando aveva 10 anni, a 16 anni ha tentato una sortita verso la sua vera passione: la pastorizia. Ma le spinte familiari per un po' hanno prevalso. Il padre bancario e la madre insegnante, l'hanno indirizzato verso la carriera universitaria, in scienze politiche. - Esperienza bellissima - racconta Stefano - ma sapevo che sarei tornato qui -. Infatti negli ultimi anni '90 è riuscito a riacquisire le terre vendute dai genitori, un tempo appartenute ai nonni, entrambi pastori, in parte comprandole e in parte grazie all'intervento dell'Ersat, e ha avviato la sua attività di allevamento e apicoltura. Lui infatti si definisce pastore di pecore e api (erbegaxu) e adotta la transumanza per entrambe; ed è grazie alla vendita di miele - con acquirenti anche in Giappone - che è riuscito a finanziare macchinari e locali per l'allevamento, mungitura e trasformazione. Dagli anni '90 si è dedicato all'attività con un'idea precisa: puntare alla qualità del prodotto, alla diversificazione e alla sua unicità. Ovvero quella che lui chiama "l'impronta del territorio". È convinto infatti che «se le pecore mangiano il fieno, il mirto e il lentischio di questa particolare zona, il formaggio avrà per forza un sapore diverso da un pecorino romano prodotto in Romania». L'Ersat (oggi Laore) gli aveva affidato le terre in uso, salvo "disastrosa gestione". Ma la gestione è tutt'altro che disastrosa e la cura con la quale agisce sul territorio ne è la prova. Stefano Lai è già dubbioso sul nome del prodotto pecorino romano, e gli pare «incomprensibile che il nostro principale prodotto abbia quel nome. È normale poi che subiamo questa forte crisi identitaria - conclude. pecorino romano significa monocoltura; e mangimi, silomais e polverizzazione del latte non fanno formaggi saporiti». Suo nonno aveva un detto: «anti forrogau sa luna», rivolto agli industriali del latte, e chi «forroga sa luna perdi su coru». Chi perde il cuore, la passione per il mestiere, che Stefano considera degno di un Hidalgo o di un capitano coraggioso, non riesce a fare un buon formaggio. La sua coop, composta da 9 pastori, fa parte di una coop più grande, quella di Nurri, che conta quasi 900 allevatori. Il consorzio destina il latte alla produzione di pecorino romano, ma Stefano preferisce utilizzare il prodotto delle sue 200 pecore per la trasformazione in pecorino sardo, effettuata direttamente nel suo ovile. Tranne il latte delle tre capre beniamine, elevate al rango di "balie" dei suoi due figli. Un esempio di diversificazione è senza dubbio il suo pecorino: aromatizzato all'olio di lentischio, di sua produzione, e cappato di argilla, presente nei suoi terreni. Stefano precisa che la lavorazione viene effettuata con pasta cruda e assicura che l'esperienza tramandata dai suoi avi scagiona da qualsivoglia pericolo batteriologico. «I batteri vengono debellati dopo qualche mese di stagionatura - racconta - e il prodotto parla da solo: se si gonfia, vuol dire che c'è qualche elemento dannoso». Stefano Lai è anche Delegato all'Agricoltura della Provincia di Cagliari, e ha già un'idea da sviluppare per la valorizzazione del suo settore, che consisterebbe in una sinergia di varie Op (organizzazioni di produzione); ovvero nel creare piccole unità aziendali di allevatori, seguite professionalmente nel percorso produttivo, per incentivare la trasformazione autonoma del latte e per aumentare la qualità del lavorato. Si tratta di un progetto pilota per verificare se "l'impronta locale" del prodotto sia un modello perseguibile in altre zone della provincia o della regione.
In Primo Piano
Stagione 2024

Turisti più attenti: è boom di prenotazioni anticipate

di Luigi Soriga
Le nostre iniziative