La Nuova Sardegna

Carlo Lucarelli: "Bisogna difendersi dalla cattiva tv. Come? Ignorandola"

Giovanna Peru
Le troupe televisive davanti alla casa di Sara Scazzi
Le troupe televisive davanti alla casa di Sara Scazzi

Intervista con il giallista Carlo Lucarelli: "Molte delle cose che abbiamo visto sono vere e proprie aberrazioni dal punto di vista giornalistico e non solo. Non si può dare alla gente sempre ciò che chiede. I media, tutti i media, dovrebbero avere un'importante funzione educativa"

06 novembre 2010
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FLORINAS. Fumetti, saggi, cinema, televisione. Carlo Lucarelli, padre del commissario De Luca, dell'ispettore Coliandro e della mitica Grazia Negro, non si è fatto mancare proprio nulla: nei ritagli di tempo il vecchio cronista di nera è riuscito a firmare anche il fumetto 153 di Dylan Dog, a insegnare scrittura creativa e a giocare (non si sa quando) nell'Osvaldo Soriano football club, ovvero la nazionale italiana scrittori (Sì, c'è anche quella).

- Scusi ma lei riesce anche a dormire?
«Sì sì, certo non c'è problema».

- Meglio e più di lei solo Simenon?
«Beh no, c'è Andrea Camilleri, che scrive molto più di me».

- Però lei si muove in tante direzioni.
«Non sono il solo: De Cataldo ad esempio, scrive tante cose ed è uno dei bravi del nostro genere. Sta facendo anche lui televisione, cinema, consulenze e poi fa anche il giudice. Quindi un altro lavoro».

- Lei, però, nel frattempo è diventato ricchissimo.
«No, questo non è un mestiere che ti dà tanti soldi».

- Come no, lo chieda a Carofiglio.
«Beh, Carofiglio ha tirature superiori alle nostre. Io sono uno di quelli che sta nella nicchia e poi sono su RaiTre a fare un programma di approfondimento. Facessi Sanremo o la velina guadagnerei molto di più, naturalmente».

- Perché, quanto guadagna?
«Mah, con la trasmissione che faccio e mettendoci dentro tutto, ma proprio tutto, credo di essere sotto i 70mila euro, credo. E sono lordi naturalmente. Direi che "Blu notte" non è un programma che manda la Rai in rovina».

- Non si sente assediato da questa enorme produzione di gialli che arriva dalla Svezia, dalla Francia (vedi Fred Vargas) dalla Spagna e non scherza neppure l'Italia?
«No, perché? Se fossero brutti allora sarebbe un altro discorso. Si vede che evidentemente c'è chi ha voglia di leggere certe cose, quindi va benissimo. Non è certo una questione di assedio; lo sarebbe se ci fosse uno scontro, invece c'è scambio. Se leggo un bel libro scandinavo o un bel libro francese farò meglio anch'io, perché avrò delle buone suggestioni».

- Vincenzo Cerami, in una recente intervista, ha criticato la tendenza italiana a scrivere gialli, dicendo che il genere viene da lontano è nordico e ha poco a che fare con noi.
«No, questo non è vero. Intanto semmai il giallo è francese e addirittura il primo romanzo giallo viene attribuito ad Edgard Allan Poe, quindi semmai sarebbe americano. Però non è questo, anche il romanzo d'amore nasce da un'altra parte, il romanzo minimalista sono gli americani a farlo, ma lo facciamo anche noi. Un genere letterario ha uno scopo, serve a raccontare delle storie. Se poi quelle storie sono anche di un altro Paese va benissimo».

- Lei fa la televisione, quindi la seguirà. Cosa ne pensa degli spazi concessi ai commenti e ai dibattiti sui recenti fatti di cronaca nera?
«Tutto il male possibile».

Ma evidentemente c'è una domanda e una risposta... Lei come se lo spiega?
«Fatte le dovute differenze, c'è anche un'offerta di droga e una domanda di droga. Molte delle cose che abbiamo visto sono delle aberrazioni dal punto di vista giornalistico e della narrazione. C'è una richiesta di cose negative, ma questo non è che le giustifichi, la televisione, e il giornalismo soprattutto, dovrebbero avere una funzione educativa. Se la gente vuol vedere il sangue e questo sangue diventa illegittimo, non glielo devi far vedere, devi educarli a cercare un'altra cosa».

«Il racconto che si fa adesso della cronaca nera è antigiornalistico: perché chiedere a una persona che è parente di una vittima "Come si sente? Perdona l'assassino?". Questo non è giornalismo, è soltanto una pessima produzione di emozioni».

- In questo panorama, come si colloca lei in televisione?
«Beh io mi metto tra quelli che fanno una cosa diversa. E poi faccio lo spettatore: non accendo la tv su quei programmi. Per esempio, il caso di Avetrana: non ho idea di cosa sia successo, non mi interessa. Quando c'è quella cosa lì io cambio canale. E poi non c'è solo la televisione, c'è il cinema, ci sono i libri... se no si può anche andare a letto alle dieci».

- Lei si è occupato e continua a occuparsi dei grandi misteri italiani. Addirittura il suo romanzo «Falange armata» è stato la chiave di volta nel caso della Uno bianca. E' stato il primo ad individuare gli assassini nei poliziotti.
«Era una delle tante ipotesi che si potevano fare e la mia ci ha azzeccato».

- Cosa possiamo fare per difenderci dalla tv spazzatura?
«Bisognerebbe ricominciare da capo in un certo senso, non lasciarsi trascinare, guardare altrove, in tutti i sensi».

- Che cosa le è piaciuto al cinema ultimamente? E gli ultimi libri letti?
«Ma, ultimamente non sono andato al cinema. Di libri ho appena terminato "I traditori" di De Cataldo: bellissimo, mi è piaciuto molto».

- Lei è un grande ammiratore di Scerbanenco, anzi un suo allievo. E nella sua formazione, quanto è stato importante De Cataldo?
«Importante certo. Tutti i colleghi contemporanei sono importanti, c'è uno scambio continuo e De Cataldo fa un ottimo lavoro. Ci stiamo studiando a vicenda in un certo senso, per quello che è il lavoro sulle fonti storiche, il fatto di scrivere un romanzone, come ha fatto lui sul Risorgimento, e andare a cercare dietro le cose dell'Italia. È una cosa interessante, ci scambiamo molte informazioni».

- Invece Scerbanenco è stato proprio un maestro?
«Sì, sicuramente».

- E al di là di Scerbanenco, altri capisaldi della sua formazione?
«Beh, nel noir James Ellroy, sicuramente, oppure Raimond Chandler, Simenon, ma anche italiani, Fruttero e Lucentini, per esempio».

- Lei ha creato il commissario De Luca, l'ispettore Coliandro, l'ispettore Grazia Negro, gli altri hanno tutti il loro ispettore, una tendenza tutta italiana, ma la trama, l'impalcatura, è sempre la stessa?
«In un certo senso sì, è sempre un certo modo di guardare le cose, attraverso il mistero che analizza e riesce ad aprire la realtà e racconta quello che ci sta dietro. Poi il personaggio più adatto per questo, almeno per me, è sempre un poliziotto istituzionale; altri hanno altri tipi di personaggi, ma è sempre un investigatore, certamente. L'investigatore è un uomo che cerca, quindi è un personaggio filosofico».

- Ma il punto di partenza è la cronaca nera. In fondo lei fa quello che dovrebbero fare i giornalisti: indaga, approfondisce. Come nel suo ultimo libro «I veleni del crimine», quando in quell'armadio custodito nel palazzo della Magistratura militare trova i fascicoli con le testimonianze dei sopravvissuti alla strage di Marzabotto. Per ciascuno dei morti c'è una storia personale. Un racconto agghiacciante. In fondo il suo approccio nel descrivere i fatti è rimasto quello di un cronista di nera.
«Beh, veramente non sarebbe proprio un lavoro da cronista di nera, è proprio un lavoro da scrittore. Noi raccontiamo le vicende attraverso le storie, i giornalisti informano attraverso i fatti. Semmai è il contrario secondo me».

- Sembra che lei stia cambiando genere: si sta occupando sempre di più di misteri rimasti insoluti.
«Quelli sono i libri che vengono dalla trasmissione televisiva. In tv faccio quello e il risultato poi diventa quasi automaticamente un libro. I romanzi e le altre cose hanno, invece, un impianto diverso».

- Ma lei come si organizza la giornata: oggi faccio televisione, poi faccio il libro legato alla televisione, poi un po' di fumetti e magari anche un romanzo.
«Faccio tutto assieme».

- Cosa la diverte di più?
«Scrivere romanzi mi diverte molto e ho intenzione di divertirmi così ancora per altri cinquant'anni».

- Se lei potesse identificarsi con la storia intellettuale degli ultimi romanzieri, di quelli passati, con chi vorrebbe cambiare la sua vita?
«Non lo so. Non saprei. Ma in fondo mi va bene la mia».

- Nel 2001 ha scritto i testi di una trasmissione di Celentano «125milioni di caz..te».
«Sì, ero uno degli autori. Eravamo cinque, credo. È stata un'avventura. Uno degli autori era Michele Serra e aveva dato al programma un taglio ironico e intellettuale».

- Ma era pur sempre una trasmissione di "c.....ate" o no?».
«Bè sì, anzi no, quelle lì andavano molto bene».
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