La Nuova Sardegna

Oristano

Omicidio Murranca, in appello l’accusa vuole tre condanne

di Enrico Carta
Omicidio Murranca, in appello l’accusa vuole tre condanne

Pompu, per il pm gli imputati sono tutti colpevoli del delitto e non solo della distruzione del cadavere La difesa chiede l’assoluzione: «Mancano le prove e non si conosce neppure il luogo dell’assassinio»

19 novembre 2016
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POMPU. Nessuno fa un passo indietro al processo di fronte alla Corte d’assise d’appello. Non il pubblico ministero Paolo De Falco che chiede trent’anni per Graziano Congiu e ventisette per Stefano Murru e Lorenzo Contu, i tre allevatori accusati dell’omicidio del commerciante ambulante Antonio Murranca e della distruzione dei suoi poveri resti che vennero dati alle fiamme nelle campagne di Marrubiu. Non l’avvocato di parte civile Gianfranco Siuni che, assistendo i familiari della vittima, ha ancora una volta sposato e rinforzato le tesi dell’accusa sul fatto che il delitto sia stato compiuto dai tre allevatori assieme per motivi e in un modo che non sono mai stati chiariti.

E nemmeno arretrano di un millimetro gli avvocati difensori Angelo Battista Marras che assiste Graziano Congiu, allevatore di 31 anni di Ruinas condannato in primo grado a 25 anni e sei mesi per il duplice reato di omicidio volontario e distruzione di cadavere; e lo stesso fanno gli avvocati Carlo Figus e Michele Ibba che assistono Stefano Murru e Lorenzo Contu, gli allevatori di Ruinas e Pompu, condannati rispettivamente a cinque anni e quattro anni e mezzo solo per l’occultamento di cadavere.

Dietro le sbarre erano finiti nel dicembre del 2014, alcune settimane dopo l’omicidio commesso il 24 settembre. Per l’accusa, oggi come allora, sono responsabili alla stessa maniera dell’omicidio e della distruzione del cadavere. Il pubblico ministero Paolo De Falco e l’avvocato di parte civile Gianfranco Siuni hanno riproposto argomentazioni che già erano state ampiamente affrontate ed esposte durante il processo di primo grado. Intercettazioni ambientali, immagini di telecamere di videosorveglianza, depistaggi maldestri e coincidenze di orari con l’accensione dei telefoni costituiscono per chi sostiene una serie di prove che, sebbene manchino il movente, il luogo e l’arma del delitto, non possono che portare nell’unica direzione della triplice condanna.

Ricostruzioni opposte a quelle fatte dalla difesa. Angelo Battista Marras, legale di Graziano Congiu ha chiesto che venga collegata la presenza del suo assistito nella zona in cui viene bruciato il cadavere col delitto. Basta la presenza di un uomo ad associarlo a un omicidio? Diversa ancora la posizione di Stefano Murru e Lorenzo Contu. I loro avvocati Michele Ibba e Carlo Figus hanno concentrato la loro arringa sugli orari in cui le celle telefoniche agganciano i cellulari dei loro assistiti che facevano rientro da un pranzo a Guamaggiore e quindi non sarebbero potuti essere sul luogo, peraltro non precisato, del delitto.

È un braccio di ferro che continua dal momento degli arresti, con posizioni divergenti, che conosceranno il secondo verdetto il 9 dicembre, giorno in cui la Corte d’assise d’appello pronuncerà la sentenza.

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