La Nuova Sardegna

Oristano

Mont ’e Prama, attorno un tifo da stadio

di Claudio Zoccheddu
Mont ’e Prama, attorno un tifo da stadio

Attorno ai ritrovamenti le diverse scuole di pensiero, tra Sovrintendenza, Università e archeologi-fai-da-te

29 luglio 2015
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CABRAS. È un lavoro che infiamma l’immaginario collettivo. Gli scavi di Mont’e Prama sono un fenomeno mediatico, oltre che culturale. È forse questo il motivo per cui nel corso degli ultimi anni sono nate vere e proprie fazioni che si contentando la ragione alla maniera dei temutissimi ultras che frequentano i campi calcio. A ridosso delle colline del Sinis la libertà di pensiero e quella di poter esprimere un’opinione è stata trasformata in tifo, puro e semplice. Qualsiasi notizia viene alterata, manipolata e gettata in pasto al pubblico (soprattutto via Internet) a seconda della fazione per cui si è scelto di parteggiare.

Gli esperti. Ecco dunque che il fronte degli archeologi “ufficiali” legati alla Soprintendenza di Cagliari e Oristano tende a giustificare ogni cosa arrivando a definire le tracce inequivocabili di un contatto tra la benna utilizzata nello scavo e i materiali archeologi – su cui faranno chiarezza le indagine dei carabinieri del Nucleo per la tutela del patrimonio culturale – come i segni degli aratri che fendevano la terra negli anni ‘70. O, ancora meglio, apostrofando l’intervento di chi si è preoccupato di segnalare l’anomalia come una perdita di tempo per chi gestisce lo scavo. Un pensiero condito dagli sfottò destinati a chi l’archeologia se l’è “cucinata” in casa, magari condendo la pietanza con qualche ingrediente di troppo. Peraltro, ancora non è stata mostrata la testa del Gigante, ultimo rinvenimento, “ferita” – o “accarezzata” dalla benna, a seconda della versione, durante le fasi di recupero

Gli autodidatti. E d’altra parte, dopo un silenzio lungo quarant’anni da parte dei canali ufficiali, è anche logico che qualcuno abbia pensato di iniziare a ballare da solo in attesa che l’orchestra iniziasse a seguire i passi di una danza che non veniva insegnata in nessuna scuola. Dal ballo innocente, però, si è passati alle accuse e ai controsfottò: gli “archeobuoni” – come vengono definiti gli archeologi ufficiali – sono additati dall’opposta fazione alla stregua dei mistici medievali impegnati a nascondere il segreto delle loro pozioni.

Le università. Gli unici che rimangono alla finestra, per ora, sono gli studiosi delle Università sarde che, dopo aver riaperto lo scavo nel 2014, sono scomparsi da Mont’e Prama forse vittime della guerra fredda tra Università e Soprintendenza che ha caratterizzato gli scavi dell’anno scorso. Dopo gli ultimi ritrovamenti, e le polemiche sull’uso della pala meccanica, sembra però che si sia riaperto uno spiraglio e che la Soprintendenza sia pronta a tendere la mano alle università. I 700mila euro concessi dal Ministero per gli scavi di Mont’ e Prama, e Tharros, non sono certo infiniti e l’iniezione dei 500mila euro che le università sarde porterebbero in dote sarebbero un toccasana per l’economia dello scavo.

Il punto di vista. A spiegare una situazione tipica dei campi di calcio e della mentalità ultras del “evviva questo e abbasso quello” ci prova Simone Maulu, portavoce e attivista dell’Irs: «Da un po' di tempo non si leggono altro che polemiche e scontri su Mont’e Prama – attacca –. Chiunque sembra possa parlare di archeologia, di come si effettua uno scavo, di come si restaurano i reperti e di come si fanno gli studi scientifici».

Il perché di questa babele di opinioni, secondo Maulu, arriva da una profonda carenza del mondo della scuola: «La storia dell’Isola non viene insegnata nelle scuole. Ecco perché nascono i dubbi che alimentano le fantasie e le perplessità. Se noi sardi studiassimo la nostra storia fin da piccoli, come è giusto che sia, probabilmente saremo più formati e più coscienti di ciò che eravamo e del patrimonio che abbiamo. E magari inizieremo a capire come poter realmente valorizzarlo». E per valorizzare le ricchezze archeologiche non servono cori, fumogeni e risse tra ultras.

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