La Nuova Sardegna

Oristano

Sindaco diffamato in rete, una condanna a sei mesi

di Enrico Carta
Sindaco diffamato in rete, una condanna a sei mesi

Tresnuraghes, il parente di una dipendente comunale scrisse su un blog Contestate parole contro il primo cittadino e il modo in cui trattava gli impiegati

21 giugno 2014
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TRESNURAGHES. La legge è uguale dappertutto. Che vengano scritte sui giornali o che si scelga invece internet come mezzo di divulgazione, le frasi diffamatorie vengono comunque sanzionate. E così alcuni commenti esagerati indirizzati contro l’ex sindaco Antonio Cinellu sono finiti sotto la lente d’ingrandimento del giudice monocratico, Anna Rita Murgia, che qualche giorno fa ha condannato a sei mesi l’autore di quei commenti.

Cosa scrisse, dunque, Paolo Scopetani – era difeso dall’avvocato Paolo Zichi –, il cui cognome tradisce l’origine non sarda? Il protagonista infatti è un militare in pensione di Acquapendente, cittadina in provincia di Viterbo, ma il potere della rete è quello di congiungere persone lontanissime. Inviò, in quanto parente di una dipendente comunale, una lettera che fu pubblicata nel blog, evidentemente molto attento alla vita sociale e amministrativa di Tresnuraghes, www.antoniosechi.it. Era intitolata “La disfatta” e parlava della condotta dell’amministrazione Cinellu, con molti dettagli sull’atteggiamento del sindaco verso i dipendenti.

Il primo cittadino, descritto come una sorta di rullo compressore che passava sugli impiegati che non avevano un atteggiamento gradito, ovviamente prese male la cosa. Gli si imputava di aver girato a proprio favore la questione del Bilancio comunale, che la ragioniera aveva invece sbagliato riportando un attivo da 110mila euro, ma solo perché aveva considerato delle voci non valide come quella sull’Ici, tanto che poi il commissario che si occupò del documento contabile diede ragione all’amministrazione.

Nella lettera si parlava di «deficit fasulli, espedienti contabili grotteschi, campagne di diffamazione e delegittimazione». Si diceva poi: «Per raggiungere tali obiettivi, però, era assolutamente necessario far tacere le voci di chi si ostinava a far valere competenza e professionalità (tanto per non dire onestà!). In altre parole bisognava scendere in guerra contro il personale stesso del Comune, reo di non volersi prestare a questi giochi di malaffare». Infine ci si chiedeva, ma «il sindaco e i compagni di merende si accorgono di essere rimasti soli?»

Il gradimento verso la lettera fu pari a zero e così scattò la denuncia. Concluso il processo l’ex sindaco che si era costituito parte civile assistito dall’avvocato Francesca Fazio ha così commentato la vicenda: «Ho sempre avuto, nei confronti dei dipendenti comunali un comportamento retto, trasparente, onesto e improntato al massimo rispetto della legalità. Quelle parole hanno offeso la mia dignità di uomo e di sindaco».

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