La Nuova Sardegna

Oristano

Oristano, la lettera di Diana dal carcere: «Un mese di accuse e di fango»

Oristano, la lettera di Diana dal carcere: «Un mese di accuse e di fango»

Costi della politica. Il consigliere del Pdl, arrestato lo scorso 6 novembre con l’accusa di peculato, si dice vittima di un «processo sommario» e accusa i colleghi del palazzo di non essere intervenuti per «impedire o attenuare il linciaggio mediatico» - LA LETTERA

18 dicembre 2013
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ORISTANO. «Un mese di accuse, di fango, di orrore». Comincia così la lettera aperta ai colleghi del Consiglio regionale che Mario Diana, ex capogruppo del Pdl, già alla guida del gruppo «Sardegna e già domani», ha inviato dal carcere di Massama (Oristano), dov’è rinchiuso dal 6 novembre. Il consigliere regionale, accusato di peculato nell’ambito dell’inchiesta bis della procura di Cagliari sulle spese dei fondi dei gruppi consiliari, si proclama innocente. Diana si dice vittima di «un processo mediatico e sommario che senza alcuna pietà ha distrutto ogni cosa, facendo di me il peggiore dei criminali» e accusa i colleghi del palazzo di non essere intervenuti per «impedire o attenuare il linciaggio mediatico».

L’ex capogruppo, accusato di aver indebitamente speso 200mila euro di fondi destinati al gruppo Pdl, esprime il suo «orrore» nel vedere la sua famiglia «gettata nel fango». «Mia moglie, miei figli e perfino mio nipote di tre anni, la cui unica colpa è quella di portare il mio nome», scrive Diana, già presidente della Provincia di Oristano e politico di lungo corso. «È il loro coraggio che mi spinge a lottare».

L’esponente politico, che ha anche perso il suo posto in Aula dopo la sospensione seguita all’arresto, si rammarica per l’esposizione della sua famiglia a «sguardi, gesti e parole di condanna di un’opinione pubblica drogata da bugie scritte da una stampa che, incurante delle conseguenze, altro non fa che insinuare dubbi e sospetti, istigando all’odio e alla maldicenza». «Mi consola il fatto che in tanti hanno portato il loro conforto e la loro pietà, coscienti e convinti che nessun uomo meriti un simile trattamento», aggiunge Diana. «Ma fra tutte le voci amiche una sola ha taciuto, e il suo silenzio è per me la più grande sconfitta. Quella voce è la vostra, onorevole colleghi. È la voce di chi giorno dopo giorno ha condiviso l’onore di sedere al parlamento dei Sardi. Per giorni ho sperato che la vostra voce si levasse per impedire o attenuare il linciaggio mediatico di cui sono ingiusta vittima».

«Non una voce, non un commento, non un segno di pietà per me o per la mia famiglia», scrive amareggiato l’ex capogruppo Pdl, rivolto agli ormai ex colleghi. «Uno solo di voi ha telefono a mia moglie e uno solo di voi ha portato la sua solidarietà ai miei figli. Grazie! Vi sarò eternamente grato. Forse, vedete, il vero problema della politica è tutto qui. Il silenzio. Il silenzio assordante che ha reso un’intera classe politica estranea alla società e che l’ha fatta apparire all’opinione pubblica come un parassita». «Si è preferito cedere alle lusinghe del populismo per nascondere la propria incapacità», accusa l’ex consigliere che aveva lasciato il gruppo del Pdl per formarne uno nuovo. «Si è preferito cedere poteri assoluti all’unto del signore, come se questi fosse la soluzione di ogni problema, ma quel che è peggio si è preferito chinare la testa, dimenticando che libere e democratiche elezioni ci hanno permesso di sedere nel Consiglio dei Sardi. I cittadini ci hanno eletti ed è a loro che dovevamo le risposte. Tacendo, si è deciso di lasciare ad altri il destino della Sardegna e così si è ceduto ai demagoghi e ai populisti, ai ruffiani e ai fabbricatori menzogne. Siamo diventati il nemico degli elettori e non più la loro espressione».

«Questa sarebbe dovuta essere la mia ultima legislatura. Del resto io sono stanco e gli anni non fanno dei sapienti, fanno solo dei vecchi (le ultime notizie sul candidato presidente mi inducono a pensare che i sardi hanno bisogno di me, forse)», prosegue Diana. «Avrei potuto stare zitto e barattare il mio silenzio. Oggi, in questa cella non mi pento di nulla. Non mi pento di aver tolto la fiducia al presidente Cappellacci, di aver contribuito a cancellare la doppia preferenza di genere, di aver chiesto il voto segreto, di essere andato spesso contro corrente. Ho svolto il mio incarico con dignità e rispetto, lottando per ciò in cui credevo, dicendo sempre ciò che pensavo. E, invece, non una parola, un commento, il solo silenzio degli ignavi e le parole di alcuni infami. Ebbene», conclude, «sappiate che combatterò questa battaglia giudiziaria così come ho sempre combattuto in Aula. Sono un uomo delle istituzioni e come tale mi comporterò. Lo devo alla mia famiglia, lo devo a tutti quelli che hanno creduto in me, ma soprattutto lo devo a me stesso. Perciò, accetto il vostro silenzio e, in silenzio, accetto la gogna a cui vengo sistematicamente sottoposto. Accetto questa detenzione e le sue conseguenze, cosciente che la verità trionferà.

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