La Nuova Sardegna

Oristano

Cultura e identità, armi per affrontare un futuro difficile

di Roberto Petretto
Cultura e identità, armi per affrontare un futuro difficile

Allevamento e artigianato in crisi, ma Santu Lussurgiu è un marchio che ancora affascina e può richiamare nuovi residenti

20 maggio 2012
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INVIATO A SANTU LUSSURGIU. Qui c’è gente abituata alla concretezza. Gente che la case le costruisce con la pietra, le strade le costruisce con la pietra. Gente che forgia l’acciaio e il ferro, che dà forma al cuoio e alla pelle. Gente solida e concreta. Santu Lussurgiu, verde e montagna, lontana dall’immagine turistica dell’oristanese tutto Sinis, sabbia di riso e acque turchesi. Qui l’accento si indurisce, e anche la vita. Il viaggio in provincia riserva un’altra tappa di preoccupazioni e difficoltà, di paesi che si spopolano e di gente che perde il lavoro.

«Sono rimasto solo, ma non demordo»: Giuseppe Spanu è il titolare della Selleria Spanu che produce artigianalmente selle, basti, finimenti e accessori vari. Il suo bilancio è amaro: «Gli affari sono calati, la crisi si sente anche a Santu Lussurgiu. Fino a qualche anno fa c’erano quattro esercizi commerciali come il mio. Ora riusciamo a campare in due dalla nostra attività e questo ci basta».

Bastano pochi passi nelle silenziose strade del paese, quasi all’ora di pranzo, per arrivare nel laboratorio dei fratelli Salaris, produttori di coltelli e di morsi per cavalli. Qui l’umore è diverso

«Noi non abbiamo sentito la crisi come è capitato e sta capitando agli altri commercianti - dice Giovanni -. Il merito probabilmente è della nicchia di mercato in cui commerciamo». Coltelli da collezione che non sentono la crisi. Ma si tratta di un’eccezione. Qui è in declino soprattutto la tradizione legata al cavallo: «La crisi è profonda - dice Michele Ardu, veterinario in pensione, ex vicesindaco e ora consigliere di opposizione -. Il Comune ha investito molto, e lo hanno fatto anche i privati. Ma ormai non c’è più mercato. Si allevano ottimi cavalli per i concorsi, ma il loro prezzo è crollato. Abbiamo animali di ottima genealologia destinati al macello».

Tremila capi bovini, quasi 25 mila ovini, 600 cavalli: questo il patrimonio zootecnico di Santu Lussurgiu. Che rappresenta ancora il cuore economico della comunità. Il settore del latte bovino si è saputo, in parte, adattare ai tempi. Sono nati quattro o cinque minicaseifici che lavorano. E vivono. Per il settore del latte ovino questo non è accaduto. «Molti giovani lavorano in agricoltura e nella zootecnica - dice ancora Michele Ardu -, ma non c’è stato il salto di qualità che invece c’è stato nel settore dell’allevamento bovino».

E anche qui, come a Laconi, lo spopolamento è progressivo e apparentemente inarrestabile. Anche se c’è chi è convinto che si possa mettere un freno: «Artisti, medici, professori: sono sempre di più quelli che scelgono il Montiferru, e Santu Lussurgiu in particolare, per venire a viverci» dice orgoglioso il sindaco Emilio Chessa. E esibisce un articolo pubblicato su RepubblicaD dal titolo: “Ma il Montiferru è un angolo di Svezia?”, dove si racconta di quanti, da diversi paesi europei, arrivino e si stabiliscano da queste parti. «Il nostro è un centro storico vero, vivo. Non un luogo che si popola solo per 15 giorni d’estate - dice ancora il sindaco -.Qui ci sono calzolai, fabbri, coltellinai, intagliatori, produttori di vino e di acquavite. È una comunità vera».

Il primo cittadino, al secondo mandato, ha una visione non troppo negativa della realtà: «Le criticità ci sono, ma ci sono anche slanci imprenditoriali evidenti». La scommessa dovrebbe essere quella di puntare a particolarità specifiche di questo territorio, alla bravura degli artigiani, alle ricchezze della cultura. Creare motivi di attrazione che richiamino quassù una parte del flusso di persone che arriva in Sardegna. Persone che sappiano, per un attimo, distogliere lo sguardo dalle meraviglie del mare per volgerlo alle meraviglie delle zone interne. A questi vicoli lindi e curati. Turisti, certo. Ma non solo: anche persone che sanno apprezza le ricchezze di questi posti e hanno la possibilità di decidere di farne il loro buen retiro.

Per attirare il loro sguardo il Comune pensa di puntare sulla cultura. «Himnos, un progetto di rete territoriale del canto a più voci - dice il sindaco - è un possibile esempio di distretto culturale. Dobbiamo valorizzare l’immateriale. Il compito degli amministratori è quello di ipotizzare il futuro, con progetti per i giovani lussurgesi».

Con qualche perplessità: di fronte a discorsi su cultura, cori e tradizioni, c’è chi obbietta: “A noisi itte nos intrada?”. «La risposta - dice il sindaco - è che se arriva qualcuno e si stabilisce qui, probabilmente acquisterà la carne, il latte, il formaggio dai produttori locali, userà imprese del posto per ristrutturare la casa». L’ambizione è quella di fare di Santu Lussurgiu una piccola Bilbao. Ma ci vorranno numeri importanti. Chi arriverà qui troverà una comunità attiva e non rassegnata: «Nonostante tutto continuerò a lavorare il cuoio perché ho ereditato l’attività da mio padre che prima di me l’aveva ereditata da mio nonno - dice Giuseppe Spanu -, non mi sembra il caso di cercare fortuna altrove».

Resistere, anche contro i segnali negativi: «Nonostante l’impegno - dice Giovanni Salaris - non possiamo certo dire di avere il futuro assicurato. Purtroppo manca il ricambio generazionale e i nostri ricavi non ci premettono di assumere apprendisti. Si potrebbe dire che siamo destinati a scomparire ma io penso che non sia così o, perlomeno, ci spero».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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