La Nuova Sardegna

Parchi: l'Europa li festeggia, la Sardegna non li digerisce

Antonio Canu
Il Gennargentu
Il Gennargentu

L'OPINIONE - Il 24 maggio la Giornata dedicata alla natura protetta. Ma noi abbiamo perso la grande occasione Gennargentu

19 maggio 2017
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Il 24 maggio si festeggia la Giornata europea dei Parchi. Un appuntamento che vuole promuovere la natura protetta del Continente, attraverso iniziative, manifestazioni, eventi. Una giornata di festa a cui partecipano migliaia e migliaia di cittadini. Era il 24 maggio 1909 quando venne istituito il primo parco europeo, quello di Sarek in Svezia. Un luogo selvaggio che grazie alla protezione voluta dall'allora governo ha conservato inalterata la sua bellezza. Per il piacere di chi lo visita ogni anno.

Erano tempi, quelli dei primi del Novecento, dove l’idea di parco seguiva il solco di quanto fatto negli Stati Uniti con la creazione del primo parco nazionale del mondo, quello di Yellowstone nel 1872. Lo volle l’allora Presidente Ulysses S. Grant. La spinta, allora, era quella di salvare la bellezza della natura e favorirne il godimento da parte della gente. Un concetto di area protetta che si è evoluto nel tempo, che è stato ripreso e modernizzato in tutto il mondo, tanto che ancora oggi rappresenta lo strumento più efficace per conservare la biodiversità e gli ecosistemi distribuiti sul Pianeta.

Questo significa che i parchi e le riserve naturali sono serbatoi di risorse, di servizi naturali – fondamentali anche alla nostra esistenza – e di opportunità di sviluppo. Oggi nel mondo esistono oltre 200mila aree protette, per una superficie superiore a 20 milioni kmq a terra e a circa 15 milioni di kmq a mare. Anche l’Italia ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni. Da quando negli anni Settanta del Novecento era il fanalino di coda in Europa, mentre oggi vanta una superficie protetta pari a circa l’11% del territorio nazionale. Numeri che però vanno interpretati, non letti come statistica. I parchi infatti vanno gestiti bene, devono svolgere appieno la loro funzione, devono essere attivi e funzionali a politiche di governo del territorio più vaste. Non sono un semplice decreto, a volte rimasto tale, sulla carta. Quanto di buono può favorire un’area protetta, viene vanificato da processi burocratici infiniti, da polemiche strumentali – il timore dei vincoli – da superficialità nell'organizzazione e scarsa progettualità. In questo la Sardegna è davvero un esempio che fa scuola.

Come dimenticare lo scontro culturale e poi istituzionale per la creazione del parco nazionale del Gennargentu? Non un territorio qualsiasi, ma uno dei luoghi simbolo della biodiversità italiana. Si è detto tutto e il contrario di tutto. Tranne qualche verità. A chi dava fastidio quel parco? O meglio – sarebbe da scrivere – a chi dà fastidio, visto che sulla carta quel parco esiste? Alle comunità locali, ai pastori, ai proprietari terrieri, si diceva. E perché mai queste realtà dovevano temere una legge che non era contro il territorio, che non voleva “mummificarlo” – termine caricaturale, come molta informazione che girava allora –, piuttosto creare i presupposti per uno sviluppo vero, duraturo? Chi e quali interessi c’erano in quegli anni che facevano massa critica? Dei diritti dei residenti e del loro futuro, a rischio ostaggio secondo gli antiparco, cosa ne è stato? Qual è stata l’alternativa di crescita per quei territori? È del tutto evidente che se di un parco si evidenziano solo i regolamenti e non la loro reale e modulare applicazione; se non si informa sulle opportunità di partecipazione e di ritorno economico; se non si fa chiarezza sugli obiettivi e non se ne condivide il percorso – perché comunque la decisione è politica –, siamo di fronte ad un problema di governo, non all’ imposizione di uno strumento.

Un esempio. Il Parco naturale regionale del Gutturu Mannu, nel Sulcis, è stato istituito nel 2004. Si è impiegato quasi due anni per la nomina del presidente e qualcosa in più per lo statuto dell’ente di gestione. Dal giorno della sua istituzione nulla si è prodotto di quanto era previsto nelle premesse e non ha perfino speso i fondi previsti per sostenere la nascita dell’area protetta. Tanto che, a sentire chi frequenta quelle aree, il bracconaggio è aumentato. Un parco così non esprime il suo ruolo. È un atto incompiuto, rischia perfino di essere controproducente se non è presidiato. Un territorio come la Sardegna, nella sua unicità, meriterebbe un sistema rete di aree protette rappresentativo dei tanti valori che questa terra esprime. Ci sono luoghi che attendono di essere tutelati e valorizzati da decenni. Se pensiamo che il turismo naturalistico è in crescita e i parchi sono tra le mete preferite di chi si sposta nel mondo, è davvero tempo di non perderne altro. La Sardegna potrebbe vivere di questo. Basta investirci. Altro che rivedere norme di tutela per ampliare cubature sulla costa. Altro che riproporre modelli che hanno dimostrato tutti i loro limiti. Non solo temporali.

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