Un pianeta sempre più inospitale favorirà nuove migrazioni
L'OPINIONE - Allarme per i cambiamenti climatici provocati dall'uomo. Siccità o inondazioni costringeranno a veri e propri esodi
Sarà molto difficile dare una soluzione all’emergenza delle migrazioni. Fino a quando se ne denunceranno soprattutto gli impatti, e non si prenderà atto invece delle cause. Fino a quando sarà tema di dispute interne e strumento ad uso politico e non una presa di coscienza di un fenomeno che nel tempo può riguardare tutti. Migrare è una forma di risposta ad una necessità. La vita sul Pianeta prevede gli spostamenti. I quali possono essere parziali o definitivi. Di sola andata o stagionali. Ci si sposta perché le condizioni non consentono più di restare in un luogo. O perché altrove ci sono i presupposti per vivere meglio.
C’è anche chi migra perché ha piacere di farlo o vive in un eterno nomadismo. Per cultura, tradizione. Soprattutto si migra per fuggire alla fame, alla povertà, a conflitti tra comunità o popoli, alle persecuzioni. Perché, a differenza delle altre specie viventi, non ci facciamo mancare nulla. Anche le guerre tra noi. I nostri antenati erano migranti e provenivano dall’Africa. Così come la colonizzazione greca e l’impero romano si sostenevano sulle migrazioni. E lo stesso è accaduto con altre grandi civiltà come quella degli inca. Migrazioni furono anche quelle dei vichinghi o dei crociati in Terra Santa. Una delle migrazioni più drammatiche fu quella, forzata, degli schiavi tra il XVIII e il XIX secolo. Circa 12 milioni di persone deportate dall’Africa occidentale al Nuovo Mondo. I coloni europei che hanno occupato altre terre erano migranti. Così quelli che hanno contribuito a costruire grandi nazioni lo erano. E le popolazioni native, in entrambi i casi, hanno subito violenze e sono state sottomesse. Ma di questo non si parla quasi più. Quelli che discendono dai migranti di un tempo, vivono oggi il fenomeno dalla sponda opposta. La realtà è che abbiamo una visione del mondo statica. E invece le cose cambiano. E i maggiori cambiamenti li sta provocando proprio l’uomo. A cominciare da quelli ambientali. Il riscaldamento del Pianeta sta influendo e sempre più influirà sulle condizioni di vita e sulle attività delle persone e delle comunità, nonché sulle loro possibilità di sviluppo.
[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:regione:1.15278421:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/regione/2017/05/01/news/tutti-con-il-sindaco-i-baby-migranti-salveranno-le-scuole-1.15278421]]
Ci sono maggiori rischi per le attività agricole, si riduce la disponibilità di risorse idriche, aumenterà la diffusione di alcune malattie. In generale sono almeno cinque i processi provocati dai cambiamenti climatici che possono avere impatti diretti sulle popolazioni locali, costringendole poi a migrare. Come evidenzia un rapporto del Wwf, del Focsiv (Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario) e del Centro studi di Politica internazionale questi riguardano: l’aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, in particolare nei Tropici; il cambiamento delle precipitazioni, la loro maggiore o minore frequenza, la loro intensità ed erraticità, con conseguenze in termini di inondazioni e siccità; l’innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione dei ghiacci; le trasformazioni di sistemi climatici regionali evidenti come nel caso del Nino e dei monsoni asiatici. Da tutto questo scaturisce un quinto processo di intensificazione della competizione tra popolazioni, Stati e imprese, per il controllo e l’utilizzo delle risorse naturali che potrebbe causare conflitti e provocare migrazioni forzate.
Ci sono aree geografiche che più rischiano questi processi. In particolare quelle costiere e le isole - a causa dell’innalzamento del livello del mare -, ma anche quelle che subiscono periodi prolungati di siccità. Le guerre dell’acqua - sia per scarsità che per contaminazione delle falde - saranno sempre più diffuse. Non è facile calcolare quante persone saranno coinvolte dalle migrazioni ambientali da qui al futuro. Le previsioni indicano un numero che potrebbe variare da 50 milioni a 350 milioni, nei prossimi trent’anni. La stima più citata è comunque è quella del professor Norman Myers di Oxford diffusa tra il 1995 e il 2005: 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050. Secondo i calcoli dell’Internal Displacement Monitoring Agency oggi le persone hanno il 60% in più di probabilità di dover abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975. Dal 2008 al 2014, oltre 157 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi. La realtà è che le emergenze ambientali possono trovare soluzione solo a livello globale. E per farlo, occorre investire in prevenzione, in politiche sostenibili, in accordi internazionali. Le migrazioni ambientali sono oggi solo una parte del fenomeno generale. Sbarrare le frontiere significa anche chiudere a questi poveri sfrattati. Non è la soluzione. Anzi. Si corre il rischio che chi chiude oggi, si possa trovare domani nelle stesse condizioni.