La Nuova Sardegna

Un pianeta sempre più inospitale favorirà nuove migrazioni

di Antonio Canu
Un trattore dissoda un terreno agricolo inaridito dalla siccità
Un trattore dissoda un terreno agricolo inaridito dalla siccità

L'OPINIONE - Allarme per i cambiamenti climatici provocati dall'uomo. Siccità o inondazioni costringeranno a veri e propri esodi

07 maggio 2017
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Sarà molto difficile dare una soluzione all’emergenza delle migrazioni. Fino a quando se ne denunceranno soprattutto gli impatti, e non si prenderà atto invece delle cause. Fino a quando sarà tema di dispute interne e strumento ad uso politico e non una presa di coscienza di un fenomeno che nel tempo può riguardare tutti. Migrare è una forma di risposta ad una necessità. La vita sul Pianeta prevede gli spostamenti. I quali possono essere parziali o definitivi. Di sola andata o stagionali. Ci si sposta perché le condizioni non consentono più di restare in un luogo. O perché altrove ci sono i presupposti per vivere meglio.
C’è anche chi migra perché ha piacere di farlo o vive in un eterno nomadismo. Per cultura, tradizione. Soprattutto si migra per fuggire alla fame, alla povertà, a conflitti tra comunità o popoli, alle persecuzioni. Perché, a differenza delle altre specie viventi, non ci facciamo mancare nulla. Anche le guerre tra noi. I nostri antenati erano migranti e provenivano dall’Africa. Così come la colonizzazione greca e l’impero romano si sostenevano sulle migrazioni. E lo stesso è accaduto con altre grandi civiltà come quella degli inca. Migrazioni furono anche quelle dei vichinghi o dei crociati in Terra Santa. Una delle migrazioni più drammatiche fu quella, forzata, degli schiavi tra il XVIII e il XIX secolo. Circa 12 milioni di persone deportate dall’Africa occidentale al Nuovo Mondo. I coloni europei che hanno occupato altre terre erano migranti. Così quelli che hanno contribuito a costruire grandi nazioni lo erano. E le popolazioni native, in entrambi i casi, hanno subito violenze e sono state sottomesse. Ma di questo non si parla quasi più. Quelli che discendono dai migranti di un tempo, vivono oggi il fenomeno dalla sponda opposta. La realtà è che abbiamo una visione del mondo statica. E invece le cose cambiano. E i maggiori cambiamenti li sta provocando proprio l’uomo. A cominciare da quelli ambientali. Il riscaldamento del Pianeta sta influendo e sempre più influirà sulle condizioni di vita e sulle attività delle persone e delle comunità, nonché sulle loro possibilità di sviluppo.

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Ci sono maggiori rischi per le attività agricole, si riduce la disponibilità di risorse idriche, aumenterà la diffusione di alcune malattie. In generale sono almeno cinque i processi provocati dai cambiamenti climatici che possono avere impatti diretti sulle popolazioni locali, costringendole poi a migrare. Come evidenzia un rapporto del Wwf, del Focsiv (Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario) e del Centro studi di Politica internazionale questi riguardano: l’aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, in particolare nei Tropici; il cambiamento delle precipitazioni, la loro maggiore o minore frequenza, la loro intensità ed erraticità, con conseguenze in termini di inondazioni e siccità; l’innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione dei ghiacci; le trasformazioni di sistemi climatici regionali evidenti come nel caso del Nino e dei monsoni asiatici. Da tutto questo scaturisce un quinto processo di intensificazione della competizione tra popolazioni, Stati e imprese, per il controllo e l’utilizzo delle risorse naturali che potrebbe causare conflitti e provocare migrazioni forzate.
Ci sono aree geografiche che più rischiano questi processi. In particolare quelle costiere e le isole - a causa dell’innalzamento del livello del mare -, ma anche quelle che subiscono periodi prolungati di siccità. Le guerre dell’acqua - sia per scarsità che per contaminazione delle falde - saranno sempre più diffuse. Non è facile calcolare quante persone saranno coinvolte dalle migrazioni ambientali da qui al futuro. Le previsioni indicano un numero che potrebbe variare da 50 milioni a 350 milioni, nei prossimi trent’anni. La stima più citata è comunque è quella del professor Norman Myers di Oxford diffusa tra il 1995 e il 2005: 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050. Secondo i calcoli dell’Internal Displacement Monitoring Agency oggi le persone hanno il 60% in più di probabilità di dover abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975. Dal 2008 al 2014, oltre 157 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi. La realtà è che le emergenze ambientali possono trovare soluzione solo a livello globale. E per farlo, occorre investire in prevenzione, in politiche sostenibili, in accordi internazionali. Le migrazioni ambientali sono oggi solo una parte del fenomeno generale. Sbarrare le frontiere significa anche chiudere a questi poveri sfrattati. Non è la soluzione. Anzi. Si corre il rischio che chi chiude oggi, si possa trovare domani nelle stesse condizioni.

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