La Nuova Sardegna

Olbia

I linguisti sulle tracce del dialetto giovanile

Una ricerca del docente universitario Eduardo Blasco Ferrer al convegno internazionale di Palau

02 gennaio 2017
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TEMPIO. È un fenomeno da tenere sotto osservazione l’uso del dialetto praticato dai giovani galluresi. Lo si capisce dall’analisi di Eduardo Blasco Ferrer, uno dei relatori del III convegno internazionale di Palau del dicembre 2015, di cui sono finalmente disponibili gli atti, interpellato per fare il punto sulle condizioni del gallurese tra i giovani del territorio. Filologo e linguista, docente ordinario di Linguistica sarda e romanza all’Università di Cagliari, Blasco Ferrer è quella che si suol dire un’autorità in materia. Ha insegnato, infatti, negli atenei di Sassari, Bonn, Firenze e Monaco, concentrando i suoi interessi scientifici prevalentemente concentrati sullo studio e la didattica del sardo, ma non disdegnando altre lingue come catalano, spagnolo e ladino. Autore di molte pubblicazioni specialistiche, è membro dell’Advisory board della rivista “Romance philology” di Berkeley. Grazie ad un’indagine condotta in Gallura sappiamo qualcosa di più sul “giovanilese” parlato dai ragazzi del territorio. I dati sono stati dedotti da due fonti: inchieste dirette a Olbia, Calangianus e Arzachena, e test compilati da studenti galluresi, in buona misura universitari. I dati sarebbero frammentari, ma ritenuti dallo stesso Basco Ferrer rappresentativi della situazione generale. Che cosa ci dicono allora? Si scopre, innanzitutto, che i giovani galluresi non mutuano molti termini dal “giovanilese” dei loro coetanei d’oltre Tirreno. Un elemento che confermerebbe «il tipico isolamento linguistico che ha da sempre contrassegnato la Sardegna per quanto riguarda le innovazioni linguistiche provenienti da svariati focolai». Ci sarebbe poi una frammentazione interna che introduce varianti particolari: così, se a Calangianus e La Maddalena persiste ancora l’espressione “marinare” per dire che si salta la lezione, in altri centri si dice “fare vela”, “andare in ferie” o, secondo una tendenza più recente, “fare sega”. Danno da pensare le conclusioni a cui giunge lo studioso. «L’uso del gallurese fra i giovani – sostiene – non è molto diffuso, a quanto pare meno di quanto lo sia il sardo nelle aree centro-meridionali della Sardegna; il gallurese viene spesso usato nel cosiddetto code-switching, ossia all’interno di enunciati in italiano, per sottolineare un significato, creare un effetto ludico o richiamare l’attenzione dell’interlocutore. Ci sarebbe, inoltre, una differenziazione dialettale interna, non macroscopica, ma comunque significativa, nel giovanilese in Gallura». Si tratterebbe, insomma, di un fenomeno in piena evoluzione di cui bisognerà testare ulteriormente l’entità. (g.pu.)

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