La Nuova Sardegna

Olbia

L’orologio di Isticcadeddu è fermo al 18 novembre

di Antonello Palmas
L’orologio di Isticcadeddu è fermo al 18 novembre

Viaggio nel quartiere simbolo della tragedia a otto mesi dalla disastrosa piena I cartelli “vendesi”, le strade sconquassate, la paura che possa accadere ancora

13 luglio 2014
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OLBIA. L’acqua si era ritirata già nei giorni immediatamente successivi a quel 18/11, il giorno dell’alluvione che spezzò il cuore di Olbia. Ma a quasi otto mesi da quel disastro costato tante vittime e una montagna di milioni di danni, il tempo sembra essersi fermato in uno dei quartieri simbolo della tragedia, Isticcadeddu, tra quelli che più a pagato (sul piano sociale e urbanistico) la furia della natura e soprattutto la scarsa lungimiranza dell’uomo. Se in altri rioni è ormai difficile immaginare la portata di quell’evento dopo che fango e macerie sono state portate via, qui è tutto diverso. Mentre le anatre giocano a rincorrersi sui pochi centimetri d’acqua che rappresentano la portata attuale del sornione rio Siligheddu, capace di trasformarsi in un mostro, il contesto tutt’intorno porta ben evidenti i segni di quanto accaduto.

La sensazione, angosciante, è che potrebbe succedere ancora e con risultati ancora più devastanti. E che, nonostante la paura rimasta nel cuore di molti residenti, la lezione non sia servita poi così tanto. C’è chi ha provato a ricostruire il muro di recinzione in blocchetti a poche decine di centimetri dal muro dal fiume, operazione scellerata che può costare cara in caso di nuova emergenza. Piergiovanni Porcu, vicepresidente del comitato di quartiere, mostra l’argine che in alcuni punti è collassato, sotto la spinta dell’acqua. Se dovesse salire il livello, quelle enormi crepe consentirebbero al fiume di portarsi via l’intera via soprastante. E infatti c’è chi di stare in quel quartiere non vuole più sentir parlare: ecco alcuni cartelli con la scritta “vendesi”, ma che sottintendono terrore e sfiducia. Tante lo case rimaste vuote, perché sfitte o in attesa di fondi per ripararle.

Come avere fiducia se, a distanza di tanto tempo, all’incrocio tra via Caboto e via Gessi, una centralina dell’Enel scalzata dal terreno dalla forza dell’acqua e con i cavi pericolosamente in vista è ancora nella stessa posizione di quel 18 novembre? Così la videro i soccorritori impegnati a salvare la gente che abbandonava i piani bassi per sfuggire alla marea che arrivava dalle alture. È come se fosse successo ieri, come mostra Tonino Licheri, rappresentante del comitato. Quella centralina sbilenca rappresenta bene con quali problemi si debba scontrare la voglia di normalità di Isticcadeddu.

E poi c’è il ponticello tra via Gessi e via Cortes, una struttura che fa impressione solo a guardarla, figurarsi passarci sopra. Transenne come protezioni, i punti di appoggio mangiati dalla piena sono stati riempiti con ghiaia. Il Comune avrebbe voluto abbatterlo, ma il comitato l’ha convinto a risparmiarlo e consentirne l’uso pedonale anche perché è il collegamento utilizzato soprattutto dai ragazzi che da Isticcadeddu ovest e Pasana si recano a scuola. Utilizzare il ponte di via Vittorio Veneto infatti non è pensabile: la ristrutturazione ne ha ristretto la sede stradale e a stento c’è spazio per due corsie delle auto. Per il rione è un po’ il simbolo dell’alluvione, qui si creò il tappo che allagò il rione,a causa delle tre arcate costruite per intero sul rio Siligheddu. Per la fretta di ripristinare il traffico, dato che la struttura base era rimasta intatta, è stato riaperto in pochi giorni grazie ai fondi della protezione civile. Ma basta guardarlo per capire come quell’opera sia tra le principali responsabili del disastro. E vedere spendere soldi per qualcosa che, a rigor di logica, andrà rifatto, qualche dubbio lo pone.

In via Marco Polo la una vecchia rivendita di materiali edili in parte crollata sotto al spinta dell’acqua è ancora lì, sospesa e tenuta in piedi da puntelli in ferro. Un privato a riempito con materiale di riporto la voragine che si mangiò mezza carreggiata. Il campo sportivo dietro la scuola media è rimasto senza recinzioni, spazzate dalla piena insieme a una delle porte da calcio. In via San Severino (poco dopo un palo telefonico miracolosamente in piedi, ma il cui cavo tocca terra), all’incrocio con via Sant’Angela Merici, c’erano un paio di canali. «Dopo lo sconquasso creato dal ciclone, qualcuno ha deciso di recintare l’area con reti metalliche – spiega Arcangelo Mele, del comitato – nonostante ci sia un vincolo idrogeologico. In caso di nuova alluvione formerebbero una barriera dagli effetti pericolosi».

«Sì, Cristo si è fermato a Isticcadeddu», commenta amaramente il presidente del comitato, Antioco Tilocca, timoniere di un quartiere che ha sempre lottato con i denti per rientrare nei canoni della città, ma che è stato sbalzato all’indietro dagli eventi e in mezzo al fango e ai detriti ha visto svanire diverse delle sue piccole-grandi conquiste.

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