La Nuova Sardegna

Olbia

Il gruppo scout cittadino ha mantenuto la promessa

di Antonello Palmas
Il gruppo scout cittadino ha mantenuto la promessa

Centoventi giovani vivono l’esperienza del movimento creato da Baden Powell L’obiettivo è creare buoni cittadini. I difficili esordi in una città senza tradizione

08 maggio 2014
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OLBIA. Racconta Antonio Antona, uno dei fondatori: «È partito tutto con una scommessa, qui non esisteva lo scoutismo, se escludiamo un paio di brevi tentativi finiti male nell’immediato dopoguerra e negli anni ’60, si partiva da zero. Il gruppo Agesci Olbia 1 ha dovuto “farsi le ossa” da solo per divenire la splendida realtà che è oggi: conta 120 elementi tra capi e assistenti, rover e scolte, esploratori e guide, lupetti e coccinelle. «All’inizio i ragazzi si vergognavano di andare in giro con la divisa, che nessuno conosceva, apparivano come marziani e si sentivano presi in giro. Ma grazie all'entusiasmo dei fondatori e di don Delogu, allora parroco della Salette, ora possiamo dire che anche Olbia ha una tradizione». Tanto che si desidera la nascita di un altro gruppo, per accogliere le tante richieste inevase. Paola Ligas, capogruppo: «Il territorio è molto vasto, abbiamo ragazzi da Golfo Aranci, Padru, Arzachena. Siamo certi che esistono persone con l’esperienza per fare i capi e aprire un nuovo gruppo».

Cristiano Tamponi è l’altro capogruppo e spiega in due parole il concetto che sta alla base: «Imparare facendo. I principi base sono gli stessi del 1907 quando il generale inglese Baden Powell fondò il movimento». «È un metodo modernissimo, sempre attuale, alla fine l’obiettivo non è creare capi ma buoni cittadini» dice Paola. E Antonio Antona: «Il metodo scout è fare un progetto, mettere delle scadenze e fare una verifica. In Renzi è evidente il retaggio dell’esperienza scout. Ha anche promesso: se non lo faccio me ne vado», tipico della mentalità scout. Spiega che «da noi non si educa attraverso le parole, ma con l'esempio, e questo è l'impegno più grosso per i capi. Inutile dire “fumare è sbagliato” e poi farsi scoprire con la sigaretta dietro i cespugli. Sono cose che segnano un ragazzo per sempre». Ed è così che il gruppo è divenuto parte viva della città, collaborando anche in situazioni difficili come l’alluvione: «La gente vedeva la divisa e automaticamente si fidava di noi» racconta Paola Ligas.

Ognuno dei capi ha cominciato in modo diverso: Paola non è mai stata scout da ragazza, poi insieme al compagno (figlio di un fondatore di gruppi nel Sassarese) è stata trascinata dentro dai figli che ne facevano parte: «Servivano assolutamente capi. In 3 anni abbiamo fatto il percorso completo e quest'anno abbiamo ricevuto addirittura il fazzolettone internazionale –dice –. Non ci si può improvvisare. Ma le soddisfazioni sono enormi, i risultati li vedi nell’accoglienza dei tuoi ex ragazzi». E assicura: «Sono convinta che lo scout abbia una marcia in più». Cristiano Tamponi e e Giosuè Sulipano hanno cominciato insieme da ragazzini: il primo, figlio di un fondatore, il secondo per desiderio della mamma che lo voleva nell’ambiente cattolico. «Quello che ho imparato – dice Giosuè – cerco di darlo ai ragazzi che guido. Non conta la fascia di età che ti viene affidata, conta metterci l'entusiasmo. Io seguo quella dai 16 ai 21, dove facilmente sei osservato e messo di fronte ai tuoi errori».

E Antonio: ha cominciato per reagire a un grave e insolubile problema in famiglia, insieme alla moglie appena sposati hanno deciso per reazione al senso di impotenza di rispondere alla chiamata di don Delogu . «Credo che le generazione dei ragazzi di oggi non sia da buttare come dicono, siamo noi che li roviniamo crescendo». E assicura «È molto più quello che riceviamo da loro di quanto diamo».

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