La Nuova Sardegna

Cagliari

Il Dna degli italiani è il più variegato d’Europa

Il Dna degli italiani è il più variegato d’Europa

C’è meno differenza tra un portoghese e un bulgaro che tra un sardo di Benetutti e uno di Castelsardo, studio condotto da quattro atenei

09 gennaio 2014
2 MINUTI DI LETTURA





MILANO. Gli italiani sono i più "ricchi" d'Europa, almeno per quanto riguarda il patrimonio genetico. Le continue migrazioni e l'isolamento delle minoranze linguistiche hanno lasciato un'impronta così marcata sul Dna, da renderlo il più variegato di tutto il Vecchio Continente: basti pensare che la "distanza" genetica tra due sardi o due abitanti delle regioni alpine è decine di volte superiore a quella che divide popolazioni agli angoli opposti d'Europa, come portoghesi e ungheresi, o spagnoli e romeni.

A rivelarlo è uno studio tutto italiano, nato nel 2007 dalla collaborazione tra l'università Sapienza di Roma e gli atenei di Bologna, Cagliari e Pisa. La ricerca, pubblicata su Journal of Anthropological Sciences, ha preso in considerazione 57 popolazioni del nostro territorio: non solo quelle più ampie e rappresentative di città o di grandi aree (come L'Aquila oppure il Lazio), ma anche gruppi di antico insediamento come quelli delle minoranze linguistiche (Ladini, Cimbri, e Grecanici).

Sono proprio alcuni di questi (come le comunità "paleogermanofone" e ladine delle Alpi o alcuni gruppi della Sardegna) a contribuire in maniera determinante alla diversità genetica osservata in Italia.

Un dato eclatante emerge dallo studio del Dna trasmesso per linea materna, ovvero quello mitocondriale: comparando la comunità germanofona di Sappada (nel Veneto settentrionale) con il suo gruppo vicinale del Cadore, o quella di Benetutti in Sardegna con la Sardegna settentrionale, l'insieme delle differenze genetiche calcolate è di 7-30 volte maggiore di quanto si osserva perfino tra coppie di popolazioni europee geograficamente 20 volte più distanti (come portoghesi e ungheresi oppure spagnoli e romeni).

«I nostri dati - spiega il coordinatore dello studio Giovanni Destro Bisol, antropologo dell'università Sapienza di Roma - testimoniamo come fenomeni migratori e processi di isolamento che hanno coinvolto le minoranze linguistiche, per la maggior parte insediatesi nel nostro territorio prevalentemente tra il Medioevo e il XIX secolo, abbiano lasciato testimonianza non solamente nei loro aspetti culturali, ma anche nella loro struttura genetica».

Lo studio rivela infine un'inedita analogia tra la biodiversità umana e quella animale e vegetale, dovuta all'estrema estensione latitudinale dell'Italia. La varietà degli habitat lungo la penisola favorisce la varietà di piante e animali, mentre le caratteristiche geografiche rendono l'Italia un "corridoio" naturale per i flussi migratori: nel caso dell'uomo le diversità tra popolazioni sono state accentuate anche dalle differenze culturali, in primis da quelle linguistiche.

In Primo Piano

Video

Olbia, la città saluta Gabriele Pattitoni: in migliaia al funerale del 17enne morto dopo un incidente

Intervento dei carabinieri

Lite in un chiosco bar di Cuglieri tra due avventori: un ferito non grave

Le nostre iniziative