La Nuova Sardegna

Cagliari

Reperti spariti in ospedale: condannato il primario

di Mauro Lissia
Reperti spariti in ospedale: condannato il primario

Inflitti tre anni e tre mesi ad Antonio Maccioni: colpevole di aver distrutto i resti dell’autopsia sull’ambulante Giuseppe Casu per coprire il collega Turri

01 maggio 2013
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CAGLIARI. E’ stato il primario di anatomia patologica del Santissima Trinità Antonio Maccioni a far sparire i resti dell’autopsia condotta sull’ambulante Giuseppe Casu scambiandoli con quelli di un altro paziente deceduto in quelle ore di giugno del 2006. «L’ha fatto e non certo a caso - come ha sostenuto il pg Michele Incani nella sua requisitoria - perché c’era un disegno preciso». Il disegno per la Procura generale era quello proposto dal pm Giangiacomo Pilia al primo giudizio: coprire il collega primario di psichiatria Giampaolo Turri, finito sotto inchiesta con l’accusa di aver provocato la morte dell’ambulante, sedato e legato a un lettino del reparto per una settimana. Sono queste le conclusioni della Corte d’Appello presieduta da Grazia Corradini, che ribaltando la sentenza di assoluzione del 16 luglio 2011 emessa dal giudice Giampiero Sanna ha condannato Maccioni a tre anni e tre mesi di carcere. Il medico è colpevole di soppressione di parti di cadavere, frode processuale e falso ma soprattutto di favoreggiamento. Ed è questo il punto focale del verdetto: se c’è il favoreggiamento c’è qualcuno che ne ha beneficiato. Ed è chiaramente Turri, assolto in primo grado, la cui posizione rischia ora di essere rivista in appello insieme a quella della collega Maria Cantone alla luce delle nuove valutazioni sui fatti, finora contenute solo nel dispositivo. Il 21 maggio si aprirà il processo-bis anche per loro ed è davanti alla corte presieduta da Antonio Onni che si dovrà stabilire se Casu è morto per colpa dei medici e poi Turri ha cercato di sfuggire alle conseguenze del suo errore concordando con Maccioni prima un’autopsia di comodo e poi la distruzione dei resti anatomici che la Procura s’apprestava a sequestrare, per affidarli a un consulente d’ufficio e accertare le cause reali del decesso. La sentenza di secondo grado - il pg aveva chiesto sei anni, sostenendo anche le aggravanti dell’atto di fede privilegiata - certifica che l’annotazione sul contenitore di reperti anatomici trovato dalla polizia giudiziaria nell’ufficio di Maccioni è falsa: indicava il nome di Casu ma i resti non erano i suoi. A usare il pennarello è stato il primario, lo dice la perizia grafica. Ma l’infermiere Stefano Esu l’avrebbe aiutato a realizzare la falsificazione. Per questo, malgrado la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto avanzata dal procuratore generale, Esu si è liberato dell’accusa di falso per soppressione, rimasta tutta in capo a Maccioni, ma non di quella di falso ideologico, che gli garantisce solo uno sconto sulla pena: da un anno e otto mesi a un anno secco. A nulla sono valse le conclusioni del pg Incani: Esu non aveva alcun interesse a far sparire i reperti e a partecipare alla frode processuale. Però paga lo stesso. I giudici hanno stabilito anticipazioni per ventimila euro alle parti civili patroncinate da Mario Canessa e Dario Sarigu, per quanto sia certo che il processo andrà avanti in Cassazione: i difensori Luigi Concas e Antonio De Toni per Maccioni, Sandro Dedoni per Esu, attenderanno le motivazioni per elaborarlo.

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