La Nuova Sardegna

«A Isili come in Brasile, in lotta per la giustizia» 

di Enrico Carta
«A Isili come in Brasile, in lotta per la giustizia» 

La visita in Sardegna della figlia del Che: Cuba e il mondo nell’era di Donald Trump

17 giugno 2017
5 MINUTI DI LETTURA





Certe morti sono come lo spillo che fissa una farfalla da collezione. In mezzo al dramma di una qualsiasi vita che se ne va, a volte in maniera violenta, possiedono una forza che le porta lontano. Sconfiggono il loro tempo come fanno i salmoni che vincono la corrente del fiume pur sapendo che là, verso quella meta cui tendono, c’è proprio la fine. Eppure certe vite non finiscono. Il filosofo tedesco Hegel avrebbe detto che dietro di esse c’erano uomini che avevano portato con sé la «fiaccola della Storia».

Il 9 ottobre saranno passati cinquant’anni dalla morte di Ernesto Guevara. Il “Che”, il grande rivoluzionario, l’uomo che più di altri, nel secondo Dopoguerra, simboleggiò un mondo e un sogno-utopia oggi quasi cancellati. Per qualcuno sconfitti dalla storia, per altri vivi e presenti nonostante la configurazione sociale e politica della maggior parte delle nazioni del mondo li abbia fatti sparire.

Mezzo secolo dopo l’agguato mortale a La Higuera in Bolivia, cosa resta allora di quell’uomo che se non recò con sé la fiaccola della Storia, tenne per lo meno in mano quella che rappresentava una parte di mondo? Ernesto Guevara è oggi solo un’icona pop frutto di una fotografia perfetta? Solo una faccia da maglietta o persino sfondo al più comune e commerciale degli orologi da polso? La risposta è nelle parole di Aleida, figlia di Ernesto che di tanto in tanto chiama papà e altre volte apostrofa come “el Che”. Da un’isola all’altra, dalla sua Cuba alla Sardegna di Gramsci nella quale è stata in visita qualche settimana fa attraverso l’interessamento dell’Associazione Italia-Cuba, la figlia del medico argentino braccio destro di Fidel Castro, oggi è una signora di 56 anni che parla ancora di socialismo e di comunismo.

Quanto sono fuori moda quelle due parole?

«Non importa se non le si sente pronunciare più nella vostra Europa. Sono parole che una persona tiene dentro di sé e per sé ne custodisce il significato. A Cuba ai bambini di cinque anni viene regalato un fazzoletto con il loro nome e la scritta “pionieri per il comunismo” e loro sanno cosa questo vuol dire. Loro vogliono essere come mio padre. Faccio un altro esempio che riguarda i giovani. Durante un recente congresso, un ragazzino di undici anni ha chiesto ai compagni se fosse il caso di mantenere l’appellativo di comunista e nessuno ha detto di aver paura di pronunciare quella parola».

Allora che succede nel resto del mondo? Come si fa rivoluzione oggi?

«La nuova società in formazione, non solo a Cuba, è costretta a competere in maniera molto dura col passato e se usa le armi rotte del capitalismo, corre il rischio di tornare proprio al capitalismo. I giovani restano il vero punto di partenza e sono come argilla che va modellata. Quando diciamo che la gioventù non è valida, stiamo dicendo che noi adulti non siamo stati capaci di educarla. E come si modellano allora i ragazzi? Insegnando loro i valori e insegnando loro a difenderli».

È ancora possibile la coesione in una società polverizzata?

«Per rispondere non vado lontano. Nella mia visita qui in Sardegna sono stata a Isili, un piccolo paese. Ho visto in piazza un gruppo di persone che protestava nel tentativo di difendere il proprio ospedale. Il problema è che erano pochi e da soli non possono raggiungere il loro obiettivo. Chi vuole togliere i diritti non va sfidato in piccoli gruppi perché così ha la forza per fermarli. Non avrà invece mai la forza per fermare un popolo. Ve lo dice una cittadina di Cuba dove la sanità è garantita per tutti. Certo, è cara l’assistenza gratuita, ma è un diritto e se ci riusciamo noi che siamo poveri, mi chiedo come sia possibile che alcune nazioni ricche non l’abbiano mai avuta e che altri Stati la stiano oggi mettendo in dubbio e pian piano smantellando».

Il mondo vive un periodo di grandi trasformazioni politiche e sociali. L’Europa, ad esempio, è alle prese con flussi migratori ai quali non era più abituata dai tempi dell’Impero Romano.

«Senza progetti sociali ed economici in favore dei Paesi da dove arrivano i migranti, ogni altro tentativo di fermare le migrazioni risulterà vano. Le azioni di forza non bastano di fronte alla fame. Chi non ha la possibilità di mangiare cerca il cibo ed è impossibile respingerlo. Allora agli europei chiedo: «Quando sarete disposti a restituire a tutti noi quello che ci avete tolto in cinquecento anni?»».

Anche nel continente americano sono in corso grandi stravolgimenti. Da Cuba come guardate all’arrivo di Trump alla presidenza degli Stati Uniti?

«Pensate davvero che sia cambiato qualcosa in peggio? Con Barack Obama, al di là della riapertura dell’ambasciata, nulla era cambiato rispetto agli anni della Guerra Fredda. Forse Obama appariva più equanime per l’immagine che dava di sé, ma nei fatti non lo è stato. Ora c’è Donald Trump che è una persona che firma i documenti e lo fa persino vedere davanti alle telecamere, ma nemmeno lui crede a quel che sta facendo. Non possiamo sapere cosa ci attende, sappiamo solo che è l’uomo che il potere di distruggere l’umanità».

E l’altra metà dell’America?

«L’America Latina è un continente che si è svegliato. È da lì che arrivano gli esempi di un mondo diverso in cui vedo ancora l’impronta lasciata da mio padre. Oggi “El Che” è in Brasile e cammina col Movimento dei Senza Terra che ha molte possibilità di cambiare la società».

È tornata nuovamente sulla figura di suo padre. Ernesto Guevara oggi è davvero solo un’icona pop?

«Lo è per il sistema capitalista, che per i soldi vende pure sua madre. Il capitalismo ha cercato di commercializzare l’immagine di mio padre, ma lui è altro rispetto all’immagine su una maglietta. È stato un guerrigliero che portava con sé gli ideali di Gramsci che conobbe da giovane attraverso le letture che fece in Perù e li applicò alla rivoluzione cubana. Cuba è frutto di una delle più grandi rivoluzioni del mondo, ma non c’è da imparare dal Che solo come rivoluzionario. Il suo modo di essere uomo è rimasto vivo».

Una o più immagini non bastano per trasformarlo solo in una farfalla da collezione da fissare con uno spillo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative