La Nuova Sardegna

«Così di Pertini ho fatto un cartone» 

di Fabio Canessa
«Così di Pertini ho fatto un cartone» 

Le scene di animazione nel film di De Cataldo sul presidente partigiano

27 maggio 2017
5 MINUTI DI LETTURA





Socialista di rara coerenza, antifascista indomabile, esiliato, partigiano, dirigente politico, protagonista della nuova Repubblica fino a diventarne il settimo presidente dal 1978 al 1985. Questo, e tanto altro, è stato Sandro Pertini. La sua avventurosa vita viene ripercorsa in un film scritto e diretto da Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo che uscirà nelle sale in autunno: “Pertini. Il combattente”. Un documentario – prodotto da Anele, Altre Storie e Sky Cinema, in collaborazione con Rai Cinema – che mescola repertorio d’epoca e testimonianze illustri (da Giorgio Napolitano a Eugenio Scalfari, da Antonello Venditti a Dino Zoff), a sequenze animate costruite con le illustrazioni di Manuelle Mureddu. A coinvolgere il fumettista nuorese nel progetto direttamente De Cataldo, già autore di un libro su Pertini.
Come ha conosciuto De Cataldo?
«Ci siamo conosciuti a Gavoi l’anno scorso, all’anteprima del festival che si svolge un paio di settimane prima della manifestazione letteraria vera e propria. Lui era l’ospite di richiamo di quel prologo durante il quale veniva inaugurata anche la mia mostra sul fumetto “La danza dei corvi” che era stato pubblicato da poco. A cena abbiamo iniziato a chiacchierare, a parlare un po’ di tutto: dei suoi libri, di fumetti. C’è stato subito feeling».
Ma già in quell’occasione le aveva parlato del progetto di questo documentario su Pertini?
«Assolutamente no. Ma verso la fine del 2016 apro la mail e leggo un messaggio della casa di produzione che mi contattava su suggerimento di De Cataldo per chiedermi se ero interessato a collaborare a questo progetto. Alcune parti importanti della vita di Pertini non hanno materiale filmico di archivio per poter essere raccontate e al posto di fare la classica ricostruzione in forma di fiction, i due registi hanno pensato di utilizzare delle sequenze disegnate e animate. E a quel punto che Giancarlo ha fatto il mio nome. Un grande onore anche perché lui ha già lavorato con disegnatori, conosce il mondo del fumetto. Ho fatto quindi delle prove per capire quale stile potesse andare bene per l’opera che avevano in mente ed è andata subito bene. Così ho iniziato a lavorarci».
Entrando nei particolari, che tipo di lavoro ha svolto?
«Si trattava in particolare di tre blocchi relativi ad alcuni momenti significativi della storia di Pertini che scarseggiano di materiale filmico. La sua presenza sul fronte durante la Prima guerra mondiale, la fuga dai fascisti con Turati in Corsica e l’evasione dal carcere di Regina Coeli con Saragat nella Roma occupata. A questi tre blocchi, non per mancanza di materiale video ma per esigenze di coerenza narrativa, si è poi deciso di aggiungere per renderla iconica con il disegno anche quella che di fatto è l’immagine più iconica che si conosce a livello pop di Pertini: quella dei Mondiali di calcio in Spagna del 1982 vinti dall’Italia. Questo è stato il mio apporto iniziale, il lavoro più grosso. Poi la collaborazione si è allargata».
Cos’altro ha fatto per il documentario?
«Ho realizzato il titolo, le font che vanno a comporre le scritte dentro del film, i cartelli, il logo formato dagli occhiali con la pipa, i titoli iniziali animati ispirandomi allo stile di Saul Bass, il noto designer che ha collaborato con Hitchcock e tanti altri».
Ma disegnare immagini destinate a essere animate ha comportato un lavoro diverso da quello che fa di solito come fumettista e illustratore?
«Non è animazione classica, ma motion comic. Però sì. Anche se l’approccio è stato simile e a livello compositivo ho pensato alle immagini come faccio sempre per le mie illustrazioni, la realizzazione pratica è stata molto diversa perché ho dovuto disegnare tutti i piani separati e poi smontare tutto ulteriormente. Per fare un esempio, dividere il corpo umano in varie parti».
Lei è nato nel 1980, non può ricordare la presidenza Pertini. Come ha affrontato questa figura che resta nella memoria come il presidente più amato dagli italiani?
«È vero. A esclusione dei presidenti contemporanei, è l’unico che ci ricordiamo tutti. Affrontare Pertini per me è stato molto interessante perché è contemporaneo, ma non lo è più. I suoi atti non hanno avuto influenza diretta sulla mia formazione, ma non è nemmeno così lontano. In generale mi interessano storie connotate in periodi storici. Mi piace la ricerca sui vestiti, sull’idea del comune sentire di quel momento».
Che tipo di ricerche ha svolto per prepararsi al meglio?
«Tra le letture, ovviamente il libro di De Cataldo. Poi ho guardato molto materiale, si trova anche online grazie alle Teche Rai».
Quale parte della vita di Pertini l’ha appassionata di più?
«Sicuramente tutta l’epopea antifascista».
Ma disegnarlo giovane è stato complicato?
«Ho fatto una grande ricerca sulle fonti, che non sono tante. Non solo su Pertini, anche per gli altri personaggi: Turati, Parri, Saragat. Non è stato semplice perché vai a toccare una figura iconica che in quel momento lì non ha gli elementi iconici che sono esterni alla sua fisicità, la pipa e gli occhiali».
Che approccio ha seguito?
«In generale ho voluto affrontare questo impegno come lo avrebbe fatto uno della mia età, anche per capire meglio il senso film, rivolto in particolare ai giovani. Non ho quindi cercato di calarmi nei panni di uno spettatore della nazionale nel 1982 o di un italiano nato prima della Seconda guerra mondiale, perché questo tipo di approccio mi avrebbe distratto da quello che era un po’ il mio compito: rispondere alla domanda su quale sia l’eredità iconografica, estetica, narrativa di Pertini per una persona che ha 36 anni come me o anche di meno. Tutte le mie scene, a parte quella del Bernabeu che arriva in una fase successiva, hanno il Pertini giovane, non già stratificato. Come ho deciso di procedere rispetto alle esigenze che erano poi di tutto il progetto? Direi che ho costruito il personaggio arrivato a me. E sono tutte parti avventurose, non da pensatore, che rispecchiano anche il titolo del film: “Il combattente”. La presidenza è il punto finale, ma il documentario racconta soprattutto il suo percorso che non è quello di un politico in giacca e cravatta dietro una scrivania, ma di uomo cresciuto combattendo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
In Primo Piano
L’industria delle vacanze

Tassa di soggiorno, per l’isola un tesoretto da 25 milioni di euro

Le nostre iniziative