La Nuova Sardegna

Storia di un progetto che salva il futuro

Storia di un progetto che salva il futuro

Per comprendere nel profondo l’avventura di S’Aspru bisogna conoscere il contesto in cui si inserisce. A fine anni Settanta la droga comincia a fare strage di giovani. Il mondo si sta trasformando e...

20 maggio 2017
3 MINUTI DI LETTURA





Per comprendere nel profondo l’avventura di S’Aspru bisogna conoscere il contesto in cui si inserisce. A fine anni Settanta la droga comincia a fare strage di giovani. Il mondo si sta trasformando e corre. Non c'è tempo per le anime perse, per i più fragili, per gli ultimi. L'eroina cambia le periferie e ingrassa la malavita, e mentre si discute su cosa fare, mentre il fenomeno cresce, qualcuno decide di sporcarsi le mani. E' il caso di don Ciotti del gruppo Abele a Torino, di padre Eligio di mondo X a Milano, di Muccioli in Romagna. In Sardegna l'appello era stato raccolto dai francescani e nel convento di San Mauro a Cagliari nel 1980 era nata la prima comunità di recupero.

«Sapevo però che il convento non sarebbe bastato per contenere i ragazzi _ racconta padre Salvatore Morittu _ avevo capito la drammaticità della situazione, lo sbandamento di quei ragazzi, il rischio del carcere, sapevo che il numero dei tossicodipendenti sarebbe tragicamente aumentato. Avevo bisogno di altro spazio, di un luogo dove poter continuare il cammino intrapreso. Un luogo dove unire parole e fatica, ricerca interiore e sudore».

S’Aspru è il “terreno” giusto per tradurre in fatti i progetti. L’esperienza nel convento di Cagliari ha smosso la diffidenza iniziale dei vertici della chiesa sarda. Morittu trova un prezioso alleato in Bruno Marin, l’abate di San Pietro di Sorres. E’ lui che riunisce i vescovi per ascoltare quel francescano intraprendente che si sta occupando dei lebbrosi del nuovo millenio e che sollecita aiuti concreti. E quando Morittu chiede “un terreno” le risposte arrivano: qualcuno pensa a una struttura ad Ales, ma è troppo vicina al paese. Il suggerimento che arriva da Sassari, di quella casa diroccata con tenuta annessa sembra invece perfetto. Una terra da lavorare, animali da governare, per chi deve ricostruirsi è un buon modo per ripartire.

«Anche l’ultimo arrivato, quello che aveva da poco varcato il cancello, con il cuore squassato dall’angoscia - racconta padre Salvatore – riusciva a trovare consolazione e stimoli nelle pecore che lo guardavano con occhi teneri e lo aspettavano con il secchio di mangime. Era la natura che contaminava i pensieri scuri, la natura che suggeriva dove arare per ritrovare le radici. I bisogni psico affettivi dei ragazzi comunque richiedevano risposte serene ed equilibrate. L'aver studiato psicologia mi aiutava. Un raffinato strumento formativo era proprio l'impegno del ragazzo più anziano di farsi carico di quello nuovo. Era lui che doveva dissotterrare tra silenzi e diffidenze legittime la disponibilità a lasciarsi aiutare, a fidarsi, a cambiare la propria vita. Ascolto e rispetto. Bisognava farlo sentire protagonista della sua liberazione, ma te lo dovevi prendere col suo carico di disperazione, solitudine e rabbia». Dopo 35 anni nella trincea di S’Aspru si continua a combattere. Il problema non è solamente la droga, l’alcol e il gioco sono dipendenze che fanno sempre più vittime. Sulla collina fertile del Mejlogu c’è ancora un sacco di lavoro da fare. (f.p.)

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative