La Nuova Sardegna

Nella trincea di S’Aspru per sconfiggere il disagio

di Francesco Pinna
La sede della comunità di recupero S'Aspru
La sede della comunità di recupero S'Aspru

Tossicodipendenze, 35 anni fa nasceva il primo centro di recupero nell’isola. Il sogno di padre Morittu e la storia di Angheleddu, il pastore padre adottivo di tanti ragazzi saliti sulla collina

20 maggio 2017
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«Senta Padre Morittu, io una mano gliela dò volentieri, ma voglio chiarire una cosa: sono comunista e non credo che parteciperò alle sue messe».

Angheleddu Nurra, ha occhi buoni e sguardo dolce. Fa il pastore da una vita nei pascoli ai piedi del Monte Santo, comune di Siligo. Davanti a lui c’è padre Salvatore Morittu, 33 anni di Bonorva, anche lui figlio di pastore. Ha il sorriso accattivante quel frate piccoletto che inciampa nel saio quando entra nell’ovile. Angheleddu ha sentito anche lui questa storia dei ragazzi di S’Aspru, di quei "drogati" che vivono nella struttura abbandonata in uno dei terreni più conosciuti del paese, di proprietà dell’Arcivescovado. Li ha visti sudati che spietravano terreni e piantavano olivi. Li ha osservati mentre spingevano carriole cariche di cemento per trasformare quella casa diroccata in qualcosa di reale. Li ha sorpresi imbranati a governare il gregge, a faticare dietro le pecore. Non capiva perché in paese avessero paura di quei ragazzi stravolti dalla fatica che incrociava al tramonto. Lui comunque aveva deciso: avrebbe dato una mano. Per principio. E poi quel frate aveva un entusiasmo contagioso. Non lo sapeva Angheleddu, ma quel giorno del maggio 1982, in quel preciso momento, stava entrando in trincea.

LA TRINCEA. Eh già. Perché S’Aspru è proprio una trincea. Come le alture del Carso per i fanti della Brigata Sassari, come le coste della Normandia. Ma quella che si combatte sulla collina è una battaglia per la vita. S’Aspru infatti è la prima comunità sarda per il recupero dalle dipendenze, una delle prime in Italia. Tra qualche giorno, quello che è considerato il simbolo del disagio giovanile in Sardegna, il quartier generale della lotta alla droga, compie 35 anni. Una storia fatta di sudore e sconfitte, di fatica e risultati straordinari. Su quella trincea sono passati centinaia di ragazzi. Anime perse che si sono ritrovate. Qualcuno è scappato, qualcun altro c’è morto, ma la maggioranza ha ridato un senso alla propria vita. «E’ come il lavoro nei campi, tu semini, lavori la terra e aspetti il raccolto – racconta padre Morittu – . A volte la gelata brucia le gemme, altre volte devi fare i conti con la siccità, ma quando arrivano i risultati ti si gonfia il petto».

L’INIZIO. Trentacinque anni. Già, è il 22 maggio del 1982 quando sulla strada sterrata davanti alla chiesetta della Madonna di Mesumundu, delizioso gioiello di architettura romanica, passa un camion scoperchiato carico come un uovo e una vecchia e scassatissima 131. A bordo una strana compagnia: un frate, un’infermiera e 6 ragazzi. Poco più avanti c’è la tenuta di S’Aspru che il vescovo aveva deciso di affidare al coraggioso tentativo di quel francescano dall’energia inesauribile e dalla tenacia nuragica. «Il primo impatto fu devastante – ricorda padre Morittu – Era tutto vandalizzato, la casa fatisciente, le finestre penzolavano dai cardini. C’erano topi e piccioni, erbacce dappertutto. La fotografia dell’abbandono. Ma c’era anche l’energia della sfida, la consapevolezza di avere motivazioni e ragioni che avrebbero moltiplicato le nostre forze».

Sono giorni frenetici. Il tetto c’è, si allestiscono le stanze. Manca l’acqua corrente e i ragazzi sono costretti ad andare a giorni alterni a San Pietro di Sorres, 10 chilometri più avanti, per farsi una doccia. Arrivano donazioni, si presentano volontari e S’Aspru comincia a prendere forma, ma deve fare i conti anche con ostacoli non previsti. Il vescovo Paolo Carta che aveva affidato la struttura alla comunità viene trasferito a Cagliari.

GLI OSTACOLI. Al nuovo arrivato monsignor Isgrò hanno raccontato di una villa lussuosa e di un francescano troppo idealista che non avrebbe potuto impedire ai drogati di distruggere tutto. Intanto a Siligo vengono distribuiti volantini contro il progetto di S’Aspru, il paese è in subbuglio, c’è paura del diverso. Ma emerge anche la delusione perchè in Comune avevano pensato proprio a S’Aspru per una struttura turistico sportiva che potesse rilanciare la fragile economia del paese.

La chiesa storce il naso, il sindaco comunista storce il naso. E’ come se Peppone e Don Camillo si mettessero assieme per ostacolare il progetto. «Ma io sapevo che le cose sarebbero cambiate - ricorda padre Morittu - , bisognava avere pazienza. Al vescovo bastò una giornata con noi per capire l’importanza di quell’esperienza, vedere i rattoppi fatti dai ragazzi alla "villa lussuosa"valeva più di tante parole. Quanto al comune, andai in consiglio a raccontare i nostri programmi, ma i veri alleati di S’Aspru sono stati i pastori e i contadini che lavoravano le terre confinanti. E’ stata la semplicità dei loro racconti sulla normalità degli alieni di S’Aspru, sono state le loro testimonianze nei bar, a far ricredere tutti. E Siligo mi ha anche regalato la cittadinanza onoraria».

LA SOLIDARIETÀ. Angheleddu Nurra, il pastore che aveva deciso di dare una mano, per 24 anni, fino alla sua morte, è stato il maestro casaro, il fratello maggiore e padre adottivo di tanti di quei ragazzi saliti sulla collina di S’Aspru a riprendersi la vita. Non andava a messa, ma di confessioni ne ha sentite parecchie. E non è stato il solo a rimboccarsi le maniche. Un altro aiuto fondamentale arrivò da zio Bastiano Mureddu, anziano pastore di Orune, da anni in zona. C’erano i pastori, ma mancava il gregge, in Sardegna però quando c’è qualcuno in difficoltà si ricorre a Sa Paradura. E così in quella calda primavera di 35 anni fa nel vecchio pulmino di padre Morittu che girava nei paesi del Mejlogu a far sapere che c’era un "pastore" in difficoltà salirono in tempi diversi 105 pecore, compreso un montone che saltò dal finestrino dimenticandosi di aprirlo. S’Aspru aveva il suo gregge e un mondo di solidarietà. Poteva cominciare la sua nuova vita. Le diffidenze cominciano a cadere. Fuori nel mondo reale, la droga fa strage e che ci sia qualcuno che prova a mettere un argine diventa importante anche per le ipocrisie di una società che corre troppo e non ha capito le dimensioni del fenomeno.

Se S’Aspru è quello che è dipende dai pastori solidali e concreti, ma soprattutto dai tanti volontari, dagli amici che hanno dato quello che potevano e quello che serviva.

I PIONIERI. Gente come Bora e le sue amiche che si portavano via la biancheria e la riportavano pulita. O come Bruno e Speranza che hanno aperto il primo centro di accoglienza a Sassari, fondamentale filtro prima dell’immersione totale.

Gente come Maria, la prima responsabile, Sandra e Paolo, Marco, Massimiliano e tutti quelli che hanno costruito un pezzo di S’Aspru, che hanno ridato dignità, speranza e futuro a un sacco di ragazzi. Gente come i fratelli Salis che organizzavano collette e allestivano le brigate di pronto intervento o i i volontari anonimi che hanno permesso alla comunità di camminare con le proprie gambe, senza aiuti istituzionali «perchè se sei libero, progetti e programmi viaggiano meglio» racconta Morittu.

Sono quasi mille i ragazzi che sono entrati a S’Aspru in questi 35 anni. Ci sono arrivati dopo aver contattato i centri di accoglienza di Sassari e Cagliari (più di 5mila richieste). S’Aspru è quello che è perché ha gioito dei risultati positivi e non si è spaventato davanti ai fallimenti o alle tragedie.

La storia di S’Aspru l’ha fatta anche Marco il primo morto di Aids nell’isola. Anche le lacrime di quel freddo giorno dell’85 hanno contribuito a far crescere l’energia di questo luogo magico, a rafforzarne i valori. Provate ad andarci per qualche ora. Ascoltate il silenzio, la fatica, il desiderio di rimettersi in gioco. E vi viene voglia di soffiare sulle candeline della torta. Buon compleanno S’Aspru.

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