La Nuova Sardegna

Quarant'anni fa a Cannes il trionfo di Gavino Ledda

di Fabio Canessa
Una scena del film Padre Padrone
Una scena del film Padre Padrone

Nel 1977 la Palma d'oro andò al film dei fratelli Taviani, ritratto memorabile della Sardegna agropastorale

13 maggio 2017
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SASSARI. Mancano pochi giorni all'inizio al Festival di Cannes che come sempre a maggio catalizza l'interesse del mondo. Spostando le lancette dell'orologio indietro di quarant'anni si torna a un'edizione, era la trentesima, memorabile per il cinema italiano. Con la presenza in concorso di tre lungometraggi riconosciuti come dei capolavori: “Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli, “Una giornata particolare” di Ettore Scola, “Padre padrone” di Paolo e Vittorio Taviani. A vincere la Palma d'oro – in gara c'erano tra gli altri anche Altman, Wenders, Angelopoulos – il film dei fratelli registi e sceneggiatori che a due anni dalla pubblicazione del libro portavano sullo schermo il romanzo autobiografico di Gavino Ledda.

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Il trionfo a Cannes nel 1977 e l'importanza del lungometraggio consolidata dal giudizio critico nel tempo, fanno del lavoro diretto dalla coppia di autori di San Miniato, provincia di Pisa, il film per eccellenza quando si pensa a cinema e Sardegna (insieme a “Banditi a Orgosolo” di De Seta). Anche se ai tempi non mancarono polemiche per l'assegnazione della Palma d'oro, fu Rossellini come presidente della Giuria a battersi tenacemente per “Padre padrone”, e poi l'accoglienza nell'isola risultò tutt'altro che benevola. Molti descrissero quel ritratto della cultura pastorale falso se non addirittura calunnioso per l'immagine che dava dei sardi. Non fu pienamente colto il valore di un racconto che per la sua universalità ottenne riscontri positivi da parte del pubblico di tanti Paesi. E colpì anche grandissimi registi come Herzog che ha rivelato di amare profondamente il film dei fratelli Taviani, riconoscendo la sua infanzia in qualche modo simile alla vita del protagonista: Gavino, bambino nella Sardegna degli anni Quaranta, costretto ad abbandonare l'istruzione dal padre che lo strappa dai banchi di scuola perché «lo studio è roba da ricchi» e il figlio gli serve, «è mio», per aiutarlo a custodire il gregge. È la scena di apertura (dopo l'introduzione con lo stesso Gavino Ledda), una delle tante sequenze indimenticabili del film.

Un lungometraggio che ha segnato le carriere dei due attori protagonisti, Saverio Marconi e Omero Antonutti, la cui vita artistica è continuata lavorando soprattutto in teatro. Antonutti, oggi 82 anni, da poco è stato anche nell'isola con uno spettacolo su George Méliès. Quel ruolo di padre padrone, di pastore rozzo e violento, ha raccontato più volte è stato per certi aspetti un peso e gli ha creato non pochi fastidi. Ma impossibile pentirsi di aver accettato una parte così memorabile, che inizialmente doveva essere affidata a Gian Maria Volonté già impegnato negli anni precedenti con i fratelli Taviani in “Uomo da bruciare” e “Sotto il segno dello scorpione”. Il grande attore alla fine rifiutò, si dice anche perché il film inizialmente era destinato solo alla televisione. Una produzione Rai, con un budget ridotto.

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A tal proposito Giampiero Cubeddu che lavorò come assistente sul set, nell'estate del 2007 durante un incontro a Sassari per il trentesimo anniversario dall'uscita del film, ricordava che «il lavoro nasceva come film militante e noi della federazione dell'Arci eravamo chiamati a dare una mano alla causa che poteva contare su poche risorse economiche. Io avevo il compito di trovare gli attori e i luoghi adatti.

Le scene di campagna del film dei Taviani furono girate in larga parte nella zona tra Cargeghe e Muros, mentre quelle da teatro di posa a Sassari. La famosa scena in cui il padre picchia Gavino in cucina è stata per esempio fatta al Canopoleno». In tutto sette settimane di riprese in Sardegna e una invece a Pisa, quelle in cui compare Nanni Moretti, per questo progetto che, considerata la sua origine tv ma il suo percorso cinematografico, segna anche un evento decisamente importante nei rapporti tra cinema e televisione. Oggi sempre più stretti.

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