La Nuova Sardegna

«Vi svelo Giuni Russo, donna controcorrente»

di Sante Maurizi

Ritorna in libreria, aggiornata, la biografia della cantante di “Alghero”

06 maggio 2017
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di Sante Maurizi

Con “Giuni Russo. Da Un’estate al mare al Carmelo” (Bompiani, 11 euro), ora in edizione tascabile dopo la prima uscita in cofanetto del 2009, Bianca Pitzorno racconta la breve vita controcorrente di una cantante di successo. La parabola esemplare di una voce straordinaria che cerca il suo spazio tra gli ingranaggi dell’industria discografica e la difesa della propria dignità artistica e umana. Non una biografia, piuttosto un “memoire” raccontato a voce e trascritto.

«Secondo qualcuno – dice Bianca Pitzorno – ho perduto un’occasione, e in effetti chissà quanti pettegolezzi si sarebbero potuti raccontare su quella miniera di gossip che è l’ambiente musicale milanese. Ma Giuni era un’amica che ho frequentato a lungo, volevo esaudire il suo desiderio che fossi io a raccontarla. Quando il metro di giudizio è il “successo” ci si dimentica in fretta di un’artista come lei, che aveva una concezione del lavoro quasi sacrale. Con Maria Antonietta Sisini, amica da sempre e coautrice di tutte le sue creazioni, ci siamo dette a un certo punto che era arrivato il momento di scrivere. Questa nuova edizione contiene anche uno scritto commovente scritto e firmato da Maria Antonietta, che nel 2009 ancora non se la sentiva di dire la sua».

Che rapporto hai con la musica?

«La sento come lacuna nella mia formazione. Da ragazza avevo diverse amiche che studiavano pianoforte con la mitica signorina Macciocu. Io no, avevamo in casa un piano di mia nonna che non è stato mai aperto. Alla musica sono arrivata grazie alla canzone di protesta (ricordo qui a Sassari le molte iniziative di un giovanissimo Luigi Manconi), poi i cantautori genovesi e Guccini e tutti gli altri. Quando poi ho iniziato a lavorare alla Rai mi è capitato di conoscere e ospitare in trasmissione artisti come Fabrizio De André o Demis Roussos, che era un personaggio fantastico».

Eleonora d'Arborea, le “bambine dell'Avana”, Giuni Russo. Perché le biografie?

«Sono una lettrice “forte” di biografie, specie se ben scritte. Ho appena riletto per la terza volta quella di Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni, scritta da Marta Boneschi. È un'opera straordinaria su una donna straordinaria, considerata per decenni donna di facili costumi e madre snaturata. Mi appassionano i documenti privati, i testamenti. Forse avrei dovuto fare l’archivista. Come uno dei personaggi del mio “La vita sessuale dei nostri antenati”, il mio ultimo libro pubblicato da Mondadori. Come la mia amica Anna Segreti, che mi ha fatto conoscere fra le tante l’incredibile storia di due gemelle siamesi che a Sassari, agli inizi del Novecento, vennero cedute dalla famiglia a un impresario perché fossero “esposte alla veduta pubblica”. Credo poi che fra una storia inventata e una vera, la seconda sia quasi sempre più interessante».

Magari perché si scoprono lati sconosciuti di vite, come diceva lo scrittore GiuseppePontiggia, “non illustri”.

«Ma anche quelle di personaggi famosi hanno dimensioni private affascinanti. Penso ad esempio a Maria Carta, mia amica carissima, che teneva un diario e faceva il resoconto dei suoi sogni. Maria era molto generosa, affettuosa, e metteva a frutto queste qualità operandocome “majalza”, nel senso buono di guaritrice. Diceva di aver ricevuto il testimone da una vecchia sciamana di Siligo, suo paese natale. A Milano una volta eravamo con Raffaele Crovi, mio direttore alla Rai, a cena da una famiglia molto provata da varie vicende. Maria ascoltò i racconti e chiese che le portassero dei chicchi di grano per fare la “medicina dell’occhio”, come diciamo in Sardegna. Raffaele disse che se in una casa di Milano si fosse trovato del grano, avrebbe creduto a qualunque magia. Un’altra sarda di cui bisognerebbe prima o poi scrivere la biografia è Verdina Pensè, pioniera nella lavorazione moderna del corallo. Si installò a Milano per seguire una sua mostra, ci accoglieva in albergo offrendoci dalla valigia salsiccia e pane carasau. Poi un giorno si scocciò delle mondanità milanesi e tornò d’improvviso in Sardegna, ad Alghero, lasciando nella galleria una sessantina di grandi quadri che andammo a ritirare con i miei amici facendo un’infinità di viaggi con la mia 500. Ho custodito quei quadri per anni tappezzando la casa fino al soffitto, fino a quando un nipote non venne a riprenderli».

La biografia è lavoro da storico di professione. Che riscontri hai avuto, ad esempio, circa il tuo lavoro su Eleonora d’Arborea?

«Quando iniziai a occuparmi di Eleonora, tanti anni fa, i documenti erano davvero pochissimi. Dopo la caduta del Franchismo in Spagna e l’apertura degli archivi catalani i materiali si sono moltiplicati. Nella mia ricerca mi sono appoggiata a fonti incontrovertibili, così non sono stata per così dire “snobbata” dall’accademia».

Una volta in un’intervista hai detto: «A noi scrittori italiani, Alessandro Manzoni ci ha rovinato».

«Ma sai che invece l'ho “riabilitato”? Ho riletto da adulta le “Confessioni” di Ippolito Nievo, ed senz’altro il più grande romanzo italiano dell’Ottocento. Ma è scritto in un italiano illeggibile. Lo sciacquare i panni in Arno del Manzoni era la ricerca di una lingua comprensibile: i “Promessi sposi” non ci regalano personaggi indimenticabili, nessuna ragazza si è mai innamorata di Lucia o della monaca di Monza, ma davanti a questo lavoro sulla lingua, beh… chapeau. Poi è finita che gli scrittori italiani, imitandolo, invece di preoccuparsi di che cosa raccontare si sono estenuati al lavorare sul “come”. Una storia che continua ancora oggi».

Che cosa pensi della narrativa italiana contemporanea?

«Non mi entusiasma. Gli stranieri sono più bravi di noi, sono più “narratori”. Sono stata per anni giurata del premio Strega, ma quest’anno ho dato le dimissioni: non è possibile leggere dodici romanzi in un mese e mezzo, alcuni dei quali lunghissimi (qualcuno mi ha detto “sei l'unica che li legge tutti”). C’è poi in Italia una dittatura dell’editor che ha eletto a totem la “leggibilità”. Ci sono anche eccezioni. Mi interessa molto Melania Mazzucco, scrive con rigore libri diversissimi e tocca sempre temi di forte attualità uscendo dall’attualità. Fra i giovani ho trovato interessante “La grande A” di Giulia Caminito, la storia di una figlia e di una madre italiane nell’Eritrea delle colonie. Vedo poi supporter scatenati del “Grande nudo” di Gianni Tetti, e penso se lo meriti. Magari il libro è un po’ troppo lungo, ha una storia che mi interessa fino a un certo punto, ma Tetti è un vero scrittore. Ha già una strumentazione, un tono insieme sassarese e universale, sembra che replichi il parlato ma allo stesso tempo lo trasfigura. Ha talento vero».

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