La Nuova Sardegna

Sironi scenografo: la grande pittura sul palco

di Marco Vitali
Sironi scenografo: la grande pittura sul palco

Cagliari, i disegni dell’artista per la “Lucrezia Borgia” di Donizetti, un patrimonio che il Consiglio regionale rende pubblico

06 maggio 2017
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CAGLIARI. Mario Sironi è uno dei nomi più importanti del Novecento pittorico italiano. In pochi sanno che ha lavorato anche come disegnatore di costumi per il teatro lirico. A questa attività dell’artista è dedicata la mostra “Sironi 1933. I figurini per Lucrezia Borgia”, inaugurata ieri mattina dal presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau e ospitata all’ingresso del palazzo dell’assemblea sarda, in via Roma.

L’allestimento, curato da Giorgio Dettori – realizzato con il contributo della Fondazione Sardegna e la collaborazione di Moreno Bucci, curatore dell’archivio storico del Maggio Fiorentino – vanta la collezione completa dei figurini realizzati da Mario Sironi per la rappresentazione della “Lucrezia Borgia” di Gaetano Donizetti nella prima stagione del maggio musicale fiorentino, andata in scena nel 1933.

Insieme ai figurini di proprietà del Consiglio regionale si potranno ammirare, fino al 13 agosto (tutti i giorni dalle 10 alle 13.30 e dalle 16 alle 20) anche i dieci costumi scenici, realizzati per una rappresentazione del 1992 proprio dai figurini di Sironi e messi a disposizione dal teatro Massimo di Palermo. «Dopo Nivola e Grazia Deledda ecco Sironi – ha detto Ganau – proseguiamo con orgoglio nell’allestimento delle mostre realizzate con i materiali custoditi dell’archivio del Consiglio regionale, per valorizzare e divulgare l’opera e il pensiero dei grandi artisti sardi». «Abbiamo aderito al progetto di collaborazione con il Consiglio regionale – ha aggiunto il presidente della Fondazione Sardegna Antonello Cabras – scegliendo di favorire la fruibilità dell’immenso giacimento delle opere degli artisti sardi». Nel 2003 il Consiglio regionale entrò in possesso dei sessantadue figurini acquistandoli da un collezionista sassarese. La mostra ha il pregio di mettere in luce l’eclettismo di Sironi facendo scoprire ai più la sua straordinaria dote come scenografo.

Quella per il teatro fu una delle passioni di Mario Sironi che, come scenografo o disegnatore dei costumi, collaborò a lungo con le maggiori istituzioni e le rassegne nazionali più prestigiose. Ma Sironi fu naturalmente molto altro.

Nato nel 1885 a Sassari, dove il padre dirigeva i lavori del grande palazzo della Provincia in piazza d’Italia, Sironi si trasferì presto a Roma ed iniziò gli studi di ingegneria, abbandonati per dedicarsi completamente all’arte.

Apprezzato ed ammirato da suoi contemporanei illustri come Boccioni, Balla, Marinetti, Severini, Campigli, Carrà e perfino Picasso, Sironi ha lasciato tracce profonde del suo passaggio in tutto il Novecento.

«L’arte deve andare verso il popolo», pensava Sironi. Questa idea di fondo ha attraversato tutta la sua produzione, dai paesaggi urbani degli anni Venti fino alla cosiddetta “pittura murale”, che per certi aspetti accostava ad un mezzo di comunicazione di massa. Nel 1933 Sironi spiegò nel “Manifesto della pittura murale” cosa intendeva dire: «La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura e più direttamente ispira le arti minori». Una pittura più aderente alla sua «funzione sociale», sulla spinta di un «mecenatismo di Stato» in grado di liberare la stessa arte dalle logiche del possesso individuale e del mercato.

Scrive di lui Moreno Bucci: «Sironi non banalizza nulla nel suo percorso creativo ed è raro vedere, anche in semplici figurini, tanta serietà compositiva, impegno, consapevolezza, forza e potenza del segno, della linea e della pittura, in un rapporto dialettico con le scene».

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