La Nuova Sardegna

Dai pozzi di Montevecchio sgorga la birra della rinascita

di Roberto Sanna

Imprenditoria e turismo per riportare in vita la miniera tra Guspini e Arbus

06 maggio 2017
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di Roberto Sanna

Ventisei anni dopo la chiusura ufficiale, dal Pozzo 16 della miniera di Montevecchio sgorga un fiume di birra chiara. Dal Pozzo 9 esce la rossa, dal 5 la scura, dal 20 quella ambrata e dal 3 sta per venire fuori la nuova nata, aromatizzata alle castagne di Aritzo. La struttura all’inizio del complesso geominerario che un tempo ospitava la gigantesca centrale elettrica che forniva l’energia all’intera miniera è rinata come birrificio artigianale dopo essere rimasta completamente abbandonata, tenuta in piedi solo da un restauro effettuato tra il 2000 e il 2005 con fondi europei e regionali. A ricordare il passato restano l’imponente caseggiato circondato dai vecchi magazzini in pietra, due pompe di carburante corrose dal tempo e il capolinea della ferrovia con un vecchio carrello. Basta aprire la porta per essere investiti dal profumo del malto e rendersi conto che una nuova vita sta nascendo in un sito che rischiava di diventare il simbolo di un territorio depresso. Nel giro di pochi anni la nuova gestione della cooperativa Lagori e il Birrificio 4 Mori, prima attività nata all’interno delle miniere, hanno riavviato il processo produttivo: turismo ed eventi enogastronomici in un luogo dove per oltre un secolo i minatori sardi hanno versato sudore e anche sangue per estrarre piombo e zinco.

Pazza idea.A Montevecchio il Birrificio 4 Mori è nato quasi per caso sulla spinta di due imprenditori cagliaritani: «Insieme al mio socio e amico Paolo Lai avevamo deciso di intraprendere un’avventura e ci stavamo guardando intorno alla ricerca di un’idea valida - racconta Antonio Zanda, amministratore delegato -. Non avevamo fretta, abbiamo un altro lavoro, io faccio il commercialista e lui è analista finanziario. L’idea del birrificio è arrivata in un secondo momento, un giorno siamo capitati a Guspini e dall’amministrazione comunale ci ha proposto questo sito. A intrigarci è stato soprattutto il fatto di poter avviare un’attività produttiva nella miniera, per poter poi avviare una sinergia con un territorio che col turismo aveva poca confidenza». La proposta di recuperare la vecchia centrale elettrica arrivò dall’allora sindaca Rossella Pinna, oggi consigliere regionale del Pd: «Loro cercavano lo spazio per un laboratorio - ricorda -, io rilanciai conla miniera perché pensavo che un’attività come quella di un birrificio fosse compatibile col recupero dello stabile. L’ho fatto perché credo che la miniera non debba essere un museo statico, che porta al territorio solo i posti di lavoro delle guide e i soldi degli ingressi. Deve essere qualcosa di dinamico e produttivo, capace di far tornare ogni giorno la gente. Si può fare tanto, fermo restando che non può essere un piccolo Comune a farsi carico di tutto il lavoro ma serve un contributo importante del Parco geominerario».

Storia e turismo. Il sito di Montevecchio, distribuito tra i territori di Guspini e Arbus, è un pezzo importante della storia della Sardegna, unica miniera legata a un’avventura imprenditoriale sarda. Il sassarese Giovanni Antonio Sanna la inaugurò a metà dell’Ottocento, nel 1865 la miniera era la più grande del Regno d’Italia con oltre mille operai e raggiunse l’apice tra le due guerre mondiali, cambiando proprietà negli anni Trenta quando venne venduta alla Montecatini. Chiusa nel 1991 dopo un lungo e doloroso declino che ha tolto al territorio qualcosa come duemila stipendi, sta lentamente riprendendo vita come sito turistico negli ultimi cinque anni. Tanto da aver vinto il premio Eden assegnato dalla Commissione europea per il turismo alle destinazioni europee di eccellenza. «Nel 2011 quando abbiamo preso la gestione delle miniere c’era un flusso inferiore ai duemila visitatori l’anno - dice Manuele Levanti, amministratore della cooperativa Lugori e coordinatore di Montevecchio -, lo scorso anno sono stati quasi undicimila. Non eravamo alla prima esperienza, lavoriamo in tutta l’isola ad esempio col trenino verde, abbiamo portato un modello di gestione imprenditoriale innovativa: il Comune ci dà un contributo di circa 800 euro al mese, noi ci impegniamo a restituire a fine anno il dieci per cento degli incassi e il saldo adesso è a favore dell’amministrazione comunale di Guspini. In più, ci siamo fatti carico di alcune partite a perdere, nel senso che gestiamo anche siti minori che non attraggono i visitatori, come l’archivio o le “domus” dei minatori. Il sito è disponibile dodici mesi l’anno con una formula flessibile: significa che in alcuni periodi, come l’estate, il punto d’ingresso è sempre aperto e basta presentarsi per entrare. Altrimenti bisogna fare una telefonata preventiva un’ora prima dell’arrivo. In inverno il traffico è scarso, meno di cento visite al mese, in estate sfioriamo le tremila. Quello dell’accoglienza è un nodo fondamentale, si può mangiare e dormire solo all’esterno della miniere anche se nel corso degli anni gli operatori hanno cominciato a a recepire il discorso. Da questo punto di vista il birrificio ci sta risolvendo molti problemi e con loro formiamo un bel binomio».

A tutta birra. A Pasquetta nell’ex centrale elettrica apparecchiata come all’Oktoberfest sono transitate centinaia di persone, il Primo maggio l’evento è stato replicato. Per il Birrificio 4 Mori è stata una sorta di certificazione ufficiale: «La nostra prima “uscita” ufficiale è stata a Sassari nel 2013 alla Cavalcata - dice ancora Antonio Zanda - . Avevamo cominciato un anno e mezzo prima, il primo passo è stato quello di superare i paletti della burocrazia, c’erano di mezzo le bonifiche, dovevamo attrezzarci con un progetto che prevede uno stabilimento a emissione zero. Così diamo gli scarti di lavorazione agli allevatori locali e dobbiamo solo eliminare l’ultimo impianto a gasolio. Ci siamo aggiudicati il bando del Comune, unici a esserci offerti di pagare l’affitto, abbiamo fatto gli adeguamenti. Siamo entrati nel mercato convinti che per avere successo dovevamo mettere lavoro, professionalità e soprattutto un prodotto di qualità. E siamo andati dai più bravi, in Germania. Abbiamo contattato un consulente di Monaco, Mattias Muller, che si è talmente appassionato al progetto da voler diventare il terzo socio». Il cambio di marcia è arrivato col marketing: «Eravamo uno dei tanti birrifici sardi, poi abbiamo rifatto l’etichetta con una scelta identitaria: siamo diventati la birra delle miniere di Montevecchio ed è stato il boom. Nel 2016 la produzione è stata di 55mila ettolitri, traguardo che quest’anno abbiamo già tagliato in aprile. Gli altri progetti? Stiamo inaugurando la quinta linea, ne abbiamo anche altre due per la grande distribuzione, trasformeremo i vecchi magazzini in cantine per la degustazione».

Retaggi da eliminare. Un’avventura vincente che ha dato una scossa al territorio, adesso servono nuovi capitani coraggiosi. «Il problema i è dismettere la vecchia mentalità emettere da parte la diffidenza verso il nuovo -è la riflessione di Manuele Levanti -. Bisogna mettere da parte le lotte di classe, capire che il turismo non può riportare in vita le duemila buste paga dei tempi migliori ma può egualmente consentire di lavorare e vivere bene». All’interno di Montevecchio un ristorante e un albergo sono pronti alla riapertura, attendono qualcuno che li faccia funzionare a pieno regime. Non più piombo e zinco, lacrime e sudore, ma turismo sostenibile e attività produttive. Centosettanta anni dopo, la creatura di Giovanni Antonio Sanna ha ancora tanto da dire e da dare.

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