La Nuova Sardegna

Loznitsa: «Filmo la realtà e quello che non ti aspetti»

di Fabio Canessa

Il regista bielorusso ha tenuto a Sassari un seminario all’Accademia d’Arte Tra i suoi film proposti anche “Austerlitz” presentato alla Mostra di Venezia

22 aprile 2017
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di Fabio Canessa

SASSARI

Tra meno di un mese inizierà la settantesima edizione del festival di Cannes e sulla Croisette ci sarà anche lui. In gara per la Palma d’oro con il suo terzo lungometraggio di finzione. Gran parte della produzione di Sergei Loznitsa è però fatta di documentari (una quindicina quelli realizzati) e in veste di grande esponente di cinema del reale è stato invitato a Sassari dall’Accademia di Belle Arti che da qualche mese ha avviato una serie di incontri con alcuni dei più importanti documentaristi a livello internazionale. Il seminario con il regista, bielorusso di nascita ma cresciuto in Ucraina, si è concluso ieri con un doppio appuntamento nell’aula magna dell’Accademia. Giovedì la giornata è stata caratterizzata soprattutto dalla proiezione, nella sala della camera di commercio, del suo ultimo lavoro: “Austerlitz”, presentato lo scorso settembre fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Un documentario, molto apprezzato dalla critica, che riflette in modo particolare sulla memoria dell’Olocausto. Concentrandosi sui visitatori di un ex campo di concentramento, quello di Sachsenhausen, attraverso una messa in scena che si avvale di lunghi piani fissi e di una fotografia in bianco e nero. «Il titolo del documentario – spiega Loznitsa – riprende quello di un libro di Winfried G. Sebald al quale ho pensato subito quando è nata l’idea del film».

Oltre il titolo qual è il legame con il romanzo di Sebald?

«Il modo simile di avvicinarsi all’argomento, di affrontare il tema della memoria, la riflessione su quei luoghi».

Luoghi che hanno influenzato la composizione delle inquadrature in che modo?

«L’architettura è stata la base per scegliere dove posizionare la camera. Nei lager le costruzioni erano più importanti delle persone e nel film sono in qualche modo l’oggetto principale».

Si vedono nel documentario, però, tante persone. I visitatori del campo di cui mostra i comportamenti. Come reagivano alla presenza della sua telecamera?

«Certo mi vedevano, ma nessuno chiedeva nulla. Molti fotografavano anche me, insieme a tutto il resto. Se fai documentari da molto tempo come nel mio caso, sai come comportarti con le persone che girano intorno».

Ma in una situazione così particolare come avete lavorato alla parte sonora che ha la sua importanza nel racconto?

«Abbiamo registrato molti suoni nel posto e poi elaborato materiale sonoro, riprodotto effetti, in fase di post-produzione. Un lavoro di tre mesi solo sulla parte sonora».

E di materiale girato quanto ne avevate al montaggio?

«Circa settanta ore».

Tutte riprese a camera fissa come si vede nel risultato finale? «Ho provato anche a muovere la camera, ma ho visto che non funzionava, diventava un racconto diverso».

Altra evidente scelta stilistica è quella del bianco e nero. Per quale motivo?

«In parte perché il colore avrebbe disturbato la composizione delle immagini e poi perché il bianco e nero dà un senso di storico come il materiale di archivio».

A proposito di documenti di archivio, ha mai pensato di usarne per questo film?

«Ci ho pensato, ma ho capito subito che inserire materiale d’archivio, così vero e forte, avrebbe fatto perdere peso al resto e distrutto la sequenza delle riprese. Inoltre dal punto di vista etico non trovavo giusto l’accostamento».

Documentari, ma anche finzione. Cosa lega questi due suoi modi di fare cinema?

«Nel documentario puoi incontrare quello che non ti aspetti, la realtà è imprevedibile e spesso sorprende. Mentre un film di finzione è come una natura morta alla quale dai forma. Ma in fondo dal punto di vista strutturale sono per me la stessa cosa».

Cosa può anticipare del film a soggetto che presenterà a Cannes?

«L’ambientazione è la Russia contemporanea. La storia è quella di una donna che cerca di andare a trovare il marito in prigione, ma si trova davanti una fortezza impenetrabile».

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