La Nuova Sardegna

Buon compleanno al cowboy surreale di Benito Jacovitti

di Paolo Curreli

Nato da una matita immaginifica e irriverente Un artista amato dalla gente e snobbato dall’élite

12 aprile 2017
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Cocco Bill, uno degli storici personaggi del fumetto made in Italy, compie 60 anni. La sua prima storia venne pubblicata nel supplemento dedicato ai giovani del quotidiano “Il Giorno” nella primavera del 1957. Era il giornale fondato da Cino Del Duca e finanziato da Enrico Mattei, imprenditore che non solo tentava di cambiare il mercato petrolifero nazionale (tentativo che non gli riuscì e gli costò la vita) ma provò (questa volta con successo) a cambiare, proprio nell’ultimo scorcio dei ’50, l’aspetto imbalsamato dei giornali italiani. Prima di tutto con la grafica ideata da Giovanni Trevisani: otto colonne (a differenza delle ottocentesche nove), prima pagina vetrina –«se facciamo la stessa prima del Corriere dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato» era la considerazione divenuta storica del direttore Baldacci–. Un giornale che costringe a una gerarchia delle notizie dura e cristallina, con grandi titoli, tante foto e firme di prestigio, che abolisce la “terza pagina” di cultura, piena di buonsenso e letteratura da piccolo mondo antico, per proporre (con un coraggio senza uguali e uno sguardo alla stampa anglosassone) una pagina di fumetti.

Un western irriverente. Era questa la cornice editoriale, che poteva accogliere lo stralunato cowboy partorito dall’incredibile mente creativa e dalla talentuosa mano di Benito Jacovitti. Prima dello spaghetti-western, e molto prima delle parodie di Mel Brooks, Cocco Bill si permette, a cavallo del fido (e parlante) Trottalemme, di irrompere con irriverenza nei territori del selvaggio west. Scenari incontrastati della grande epopea di John Ford, Howard Hawks e John Wayne, dove c’è molto spazio per l’eroismo, l’amore e la malinconia e dove, invece, l’umorismo è relegato a poche battute del caratterista “vecchietto dell’west”. Anche Cocco Bill è un eroe buono, pistolero col cappello bianco che raddrizza i torti sparando: solo che le sue Colt emettono, eruttano, esplodono traiettorie impossibili di proiettili che curvano a novanta gradi, su e giù, inseguendo i cattivi. Ogni elemento classico del western viene meticolosamente descritto per essere allo stesso tempo reinterpretato e stravolto. Dal ghigno immerso nelle trecce dei sioux, ai cactus che si scostano durante le sparatorie, ai fremiti d’amore dell’eterna fidanzata Osusanna Ailoviù, e anche Cocco Bill si appoggia con gli altri cow boy al bancone del saloon ma lo fa solo per dissetarsi con la camomilla.

La matita geniale di Jacovitti. Tutto predisposto da una regia immaginifica e da una matita inventiva – perché è inutile negarlo Jacovitti è stato uno dei più grandi disegnatori del secolo–, tavole percorse dall’horror vacui, dove ogni millimetro pieno di particolari è una scoperta, salami che saltano fuori dal terreno incrociando strane lumache e la sua celebre firma: una lisca di pesce. Benito Jacovitti era nato nel 1927, da un padre che (oltre che un nome in linea con i tempi) gli regalò la visione di centinaia di film quando da ferroviere divenne proiezionista. Probabilmente furono questi “doposcuola” al cinema a irrigare la fervida fantasia di Benito. Creatività che esplose in giovane età con la collaborazione a numerose riviste. Per chiarire meglio l’atmosfera che si respirava in quelle redazioni delle “infantili” riviste di satira e fumetti del dopoguerra, come “Bertoldo” e “Marc’Aurelio”, intorno ai tavoli si aggiravano personaggi del calibro di Fellini, Zavattini, Marchesi, Steno e Flaiano. Anni di boom e di grandi speranze ma anche di contrapposizioni politiche da cortina di ferro. E Jacovitti sguscia e vola libero, non gli piacciono le casacche e le uniformi, l’ironia è più forte quando infrange il luogo comune o irride alle verità monolitiche.

Artista amato e snobbato. Sfilano i decenni e lui disegna per i giornali più importanti. Il suo Diario Vitt è un cult per tutti i ragazzini molto prima dell’avvento della parola merchandising, i lettori lo amano ma l’élite, in fondo, lo considera troppo popolare e un po’ volgare. È sempre l’epoca in cui tutto è attraversato da un muro, i tempi in cui il panino è di sinistra e il tramezzino di destra. Fascista, per alcuni (perché sbeffeggia i contestatori) clericale per altri (perché collabora con testate delle Suore Paoline), irriverente e pornografico per i benpensanti. Fa un manifesto per la Dc e in un rotolo di carta igienica nasconde la scritta “abbasso il Papa”, collabora con Linus e sempre su un rotolo dello stesso tipo sbeffeggia proprio il giornale di Oreste Del Buono che lo aveva chiamato. Viene espulso e si dimette continuamente, osteggiato dall’intellighenzia e sempre amato dal pubblico, lascia il Diario Vitt della cattolica Ave per dedicarsi alle illustrazioni erotiche per Adelina Tattilo.

Jacovitti muore nel 1997 ma, come tutti i grandi, la sua arte – per davvero questa volta – non muore. Cocco Bill continua a spadroneggiare, è stato animato, imitato, ha fatto pubblicità per i gelati ma in fondo resta un ragazzo nato negli anni ’50 di quelli che: «siamo stati la classe a cui non si riusciva ad insegnare, quelli che risero quando il re cadde dalle scale» come cantarono i Police in “Born In The 50’s”.

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