La Nuova Sardegna

Sui monti della Planargia i greci scampati al Gran Visir

di COSTANTINO COSSU
Sui monti della Planargia i greci scampati al Gran Visir

Ormai ridotta a cinquecento abitanti la colonia fondata dai Savoia nel 1750

11 aprile 2017
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di COSTANTINO COSSU

Questa storia comincia il 5 settembre del 1669, il giorno in cui a Candia, isola di Creta, il Capitano Generale del Mare Francesco Morosini, dopo 22 anni di assedio turco, abbassa in vessilli della Repubblica di Venezia davanti alle insegne vittoriose di Fazil Ahmed Köprülü, Gran Visir ottomano. Si spegne quel giorno una guerra lunghissima, combattuta quasi tutta per mare dai veneziani per fermare l’avanzata islamica nel Mediterraneo. Creta cade e i turchi hanno via libera alla conquista della Grecia. Primo obiettivo è la Maina, la penisola controllata da Venezia che durante il conflitto si è schierata con la Serenissima. Per gli abitanti della regione del Peloponneso la situazione diventa drammatica. Di fronte alla prospettiva di un’invasione ottomana, molti greci lasciano la loro terra. Singoli, ma anche intere comunità prendono la via del mare per riparare in Occidente. Uno dei flussi più grandi si ferma a Livorno. Un’altra ondata migratoria punta su Genova: il 23 settembre 1675 ottocento abitanti di Vitylo, guidati dal vescovo Parthenios Calcandis e da Giovanni Stefanopoli, si imbarcarono su una nave francese, la Sauveur, diretti in Liguria.

PIRATI OTTOMANI.

Il viaggio è un inferno. Bisogna evitare di incappare nei blocchi navali ottomani. E poi ci sono i pirati, che la potenza musulmana utilizza come vigilantes al proprio servizio. Scoppia anche un’epidemia di colera, che costringe la Sauveur a una lunga quarantena nel porto di Messina. Il 1° gennaio del 1676 finalmente i sopravvissuti, circa settecento, sbarcano a Portofino, da dove, nel mese di marzo, sono trasferiti nei possedimenti di Genova in Corsica, a Paonia. Ma l’Odissea non è finita. Nel 1728 i manioti, considerati alleati dei dominatori, sono assaliti dai Corsi in rivolta contro Genova e sono costretti a fuggire per riparare, sotto la protezione genovese, ad Aiaccio, dove rimangono fino al 1775.

BUONI CATTOLICI

Cambia nel frattempo la mappa geopolitica dell’Europa. Nel 1720 la Sardegna passa ai Savoia. I nuovi signori dell’isola si trovano ad amministrare una regione con densità di popolazione bassissima. E fanno due esperimenti di colonizzazione. Il primo nell’isola di San Pietro, dove arrivano i liguri provenienti dall’isola di Tabarca. Il secondo nel salto di Montresta, un altopiano tra Bosa e Alghero. Nel 1750 un buon numero delle famiglie maniote che nel 1728 si erano rifugiate ad Ajaccio si trasferiscono in queste lande semi spopolate. Ha così inizio l’edificazione di Villa San Cristoforo, che soltanto nel 1786 sarà chiamata, nei registri regi, Montresta. I suoi abitanti hanno abiurato lo scisma greco-ortodosso nel 1679. Sono quindi bene accetti dalla Chiesa cattolica. Nella relazione “ad limina Apostolarum” che porta la data del 12 aprile 1751 il vescovo di Bosa Raimondo Quesada dice parlando di Montresta: «È una colonia di greci da poco tempo condotti qui dal re di Sardegna. Sono buoni cattolici, hanno due sacerdoti ordinati dal vescovo greco residente a Roma. I greci sono 148 in 52 famiglie. La villa è costituita da tre vie larghe, ordinate e parallele, tutte e tre conducenti alla chiesa, già esistente, di San Cristoforo».

LA GUERRA CON BOSA

Oggi di quelle 52 famiglie, in questo piccolo paese ridotto ormai a meno di cinquecento anime, ne resta soltanto una, quella dei Passerò. Le altre sono andate via tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, per sfuggire alla persecuzione costante, molto spesso violenta, cui sono state sottoposte dai notabili della vicina (appena 15 chilometri) città di Bosa, che mal sopportavano che una parte del loro territorio fosse stata alienata agli usi secolari (il pascolo delle pecore) in favore di un manipolo di “stranieri”.

RICORDI E MALVASIA

Domenicanna Passerò ha quasi novant’anni. Abita in una casa sulla via principale di Montresta, via Roma. Mi riceve nel fresco della penombra del tinello, sul tavolo un bicchiere di Malvasia e alle pareti le foto di quando l’ultima dei greci della Maina era giovane e bella. Nelle stampe incorniciate intreccia cestini insieme con un gruppo di ragazze. Annuncia: «Tra pochi giorni tutti i Passerò della Sardegna si incontreranno a Montresta. Sono sparsi un po’ in tutta l’isola. Qui, di Passerò sono rimasta soltanto io. Domenicanna è il mio nome. Un nome greco. Degli altri nuclei familiari manioti s’è persa traccia. Noi manteniamo il ricordo».

IL MILIONARIO TEDESCO

Arrivano invece altri “stranieri” a Villa San Cristoforo, mossi da derive storiche molto diverse da quelle che spinsero su questo altopiano i greci perseguitati dal Gran Visir. Sono i flussi del pianeta globalizzato. Uno dei più importanti è quello turistico, che in terre come queste ha una sua connotazione particolare: non Rimini; Crete Senesi, piuttosto. Thomas Bock, milionario, uno dei maggiori immobiliaristi tedeschi, a Montresta ha comperato una vecchia casa disabitata, in pieno centro, e l’ha trasformata in una villa con piscina e solarium. Sta su uno dei punti più alti di via Roma, alla sommità di un poggio dal quale si domina tutto il Salto di Montresta: una vista mozzafiato su un paesaggio straordinario, insieme dolce come nel Chianti e aspro come sull’Amiata. «Herr Bock viene qui – mi spiega il sindaco Antonio Zedda – appena ha un attimo libero dagli affari. È il suo rifugio».

LE CASE VUOTE

C’è Bosa, centro turistico, a due passi e chiedo a Zedda se qualcosa dell’onda vacanziera lambisce Montresta. «Poco – risponde –. Prima della crisi si affittava qualcuna delle molte abitazioni vuote. Ma ora quasi più niente». Sino a due anni fa a Montresta si svolgeva un festival, “L’isola del teatro”, che portava in paese non soltanto compagnie importanti ma anche un discreto numero di appassionati che arrivavano da tutta la Sardegna. Un po’, per qualche giorno, riempivano le case vuote. Poi però la cosa è caduta. «L’interesse della gente – dice Zedda – non era molto. E così quest’estate al posto di “Isola del teatro” faremo un festival delle paste tradizionali della Planargia».

TANTI VECCHI, POCHI NEONATI

Busso alla porta di Antonietta Beccone, responsabile del Servizio demografico del Comune. Mi dice che quest’anno a Montresta è nato un solo bambino. E l’anno scorso pure. I dati del censimento del 2015 danno la popolazione a 506 abitanti. Ma nel frattempo, in appena un anno e mezzo, il saldo demografico negativo, il numero dei morti che ha superato quello dei nati, ha portato l’asticella sotto i 500. Nella scuola elementare i bambini sono appena 19. Silvana Fois qui fa la maestra da parecchi anni: «Siamo – mi dice – al lumicino, la gente da Montresta va via perché non c’è lavoro. I giovani lo cercano fuori. E che altro potrebbero fare?».

PANE PISTOCCU

Che manca il lavoro lo ripetono, come un mantra, tutti quelli che sento: Immacolata Fresi, che gestisce un negozio di alimentari in via Nazionale; Angela Spanu, che trovo lì mentre fa la spesa; Maria Filomena Fancello, la tabaccaia. Poi però c’è anche chi una fonte di reddito è riuscito a costruirla. Ad esempio Cosimo Cadoni, titolare del panificio “Fancellu”, che produce il pane pistoccu, una sorta di galletta, lunga 30 centimetri e larga 10, apprezzata e venduta su tutto il mercato regionale; e anche Carla Ruiu, la figlia di Domenicanna Passerò, che dirige un altro panificio, messo su dal Comune con fondi della Regione per produrre sempre il pistoccu. E poi ci sono Salvatore Fancellu e suo figlio Davide, che fanno i fabbri e tirano avanti bene mantenendo viva un’antica tradizione artigiana. «Anche se – dice Salvatore – facile non è. Mancano tante cose. A cominciare dai trasporti, che sono un vero disastro».

STATO PATRIGNO

«Il fatto è – dice il sindaco, che è anche presidente dell’Unione dei comuni della Planargia – che per quanto possano fare le singole amministrazioni comunali, non basterà mai, se a favore delle zone a rischio di spopolamento non ci sarà un impegno istituzionale forte. Quando mi sento dire da Raffaele Paci – come mi è capitato – che non è certo da un povero assessore regionale alla Programmazione che ci si può aspettare sia bloccato un fenomeno di portata europea come lo spopolamento, e che se la gente preferisce andare a vivere dove sta meglio, lui, Paci, non ci può fare niente, io capisco che la partita è persa. Lo stesso discorso vale per l’istanza istituzionale superiore, quella statale. Che razza di Stato è quello che prima ti toglie, scuole, biblioteche, servizi sanitari, stazioni dei carabinieri e poi ti lascia senza un euro, solo di fronte a uomini e donne per molti dei quali il Comune è l’ultima risorsa?».

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