La Nuova Sardegna

Cheremule, nella terra delle Domus le fate non danzano più

di Costantino Cossu
Cheremule, nella terra delle Domus le fate non danzano più

I paesi dello spopolamento /3. Dal passato preistorico a un presente dove domina la spending review

14 marzo 2017
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Cammino sulle tombe di Tènnero e penso che se questo luogo non farà pace con i propri morti non avrà futuro. Chissà perché ai sepolcri costruiti dai loro antenati dell’Età del rame – tremila anni prima di Cristo – i sardi hanno dato il nome di domus de janas, “case delle fate”? Ci cammino sopra, attento a evitare di cadere dentro le stanze scoperchiate (i tetti sono caduti) delle piccole stanze dove la gente che abitò questa terra prima dei Nuragici seppelliva i defunti. Dopo i misteriosi popoli delle origini, qui sono passati tutti: i cartaginesi, i romani, i vandali, i bizantini. I nord africani hanno spogliato le tombe. I discendenti di Enea hanno demolito il calcare per estrarne pietre da costruzione e per ricavare sui tetti delle sepolture enormi catini dove spremere l’uva: usavano le domus come serbatoi. Sono stati i vandali i primi a ricominciare a seppellire qui i loro morti. Loro, gli implacabili killer della pax romana, di questa landa hanno avuto religioso timore. I bizantini invece hanno lasciato la necropoli ai rovi e al silenzio, come doveva essere per tutto ciò che era stato prima della parola del Salvatore. Le tombe le hanno costruite nel recinto dei loro monasteri, fortezze, mura levate in nome di Dio contro il mondo. E silenzio e rovi qui è stato, per secoli, con gli Aragonesi, con i Castigliani, con i Savoia.

IL BALLO SULLA ROCCIA

Camminando sopra le domus arrivo a quella che gli archeologi chiamano Tomba Branca, la più grande e la più bella di Tènnero. Qui è rimasta la traccia del rito con il quale i popoli prenuragici accompagnavano i morti nell’ultimo viaggio. È una danza messa in scena sulle pareti dell’androne della tomba, dove le mani di anonimi artisti-artigiani vissuti cinque millenni fa hanno inciso nere figure in movimento: sei sulla parete di sinistra, otto su quella destra. Tutti maschi (alcuni di loro con il volto coperto da maschere di animali), si agitano in un ballo ad andamento circolare. La figura che colpisce di più è quella del “rovesciato”, così la chiamano gli archeologi. È l’unica, in alto sulla parete di destra, a essere dipinta a testa in giù: rappresenta il morto che precipita verso le profondità degli inferi, accompagnato dall’ipnotico ballu tundu dei vivi.

FIUMI DI LAVA

Poco distante, un paio di chilometri a nord, vedo Cherèmule, le case adagiate sul lato occidentale del Monte Cuccurùddu. A sud est, la giornata chiara mi permette di arrivare con lo sguardo sino a Giave; a sud ovest sino a Cossoìne. Tre piccoli paesi, tre sentinelle arroccate sulle colline del Meilogu a fare la guardia a quella che le mappe indicano come la Valle dei vulcani. Qui, infatti, nella notte dei tempi, da sei bocche di fuoco, oggi tutte spente e però tutte ancora visibili, scorrevano fiumi di lava. Terre vulcaniche, fertilissime. Perciò i cartaginesi chiamavano questo posto Cherèm-el, “vigna di Dio amena”. Cherèm-el oggi è Cherèmule. Un nome africano.

ESODO BIBLICO

In paese Antonella Marras gestisce, insieme con la gemella Michela, l’unico negozio di alimentari rimasto aperto. Fa anche da edicola. Antonella è nata nel 1966 a Düsseldorf, dove il padre era emigrato qualche anno prima con la moglie per lavorare nella grande fabbrica della Mercedes. In tutto il Meilogu negli anni Cinquanta l’emigrazione fuori dell’isola è stata un esodo biblico. Lo spopolamento è iniziato allora. Antonella e Michela sono ritornate a Cherèmule nel 1972 insieme con la madre, che ha aperto l’emporio ora passato alle gemelle. Il padre, rimasto a faticare alla catena di montaggio, è ritornato nel 1978, ha comprato un po’ di pecore e s’è fatto pastore, il modo più antico, qui, per procurarsi il pane. È morto nel 1982; sua moglie nel 1991. «Non è facile andare avanti – dice Antonella – Siamo in pochi, ormai. E poi c’è la concorrenza dei supermarket: a Thiesi, a pochi chilometri da Cherèmule, e a Sassari, a trenta minuti di auto. Ma si va avanti. Sperando che cambi». Resiste anche Giovanni Sanna, 43 anni, artigiano. Ha messo su una piccola impresa (sei dipendenti) che fabbrica mobili e infissi. Ha imparato il mestiere di falegname in bottega dal padre: «Il nostro fatturato è buono, ma non lavoriamo solo nel Meilogu, non ce la faremmo a stare in piedi. Abbiamo allargato il giro a tutto il Nord Sardegna. I problemi più grandi? I trasporti, le strade: un disastro. E poi la formazione: è difficile trovare giovani qualificati che vogliano fare questo lavoro».

LA SQUADRA DEI GIOVANI

Gavino Marras, invece, fa il macellaio. Dal 1983 ha una rivendita di carni in via Capitano Bagella. Varcata da un po’ la soglia dei cinquanta, continua a mettere sul banco carni prodotte dalla macellazione di capi che lui stesso alleva. Prodotti di qualità molto alta. «Chi li compra? Da quando ho iniziato – racconta – il giro si è ridotto della metà. E la maggior parte dei clienti, almeno il sessanta per cento, vengono da fuori, dal resto della Sardegna: dal Sassarese, dalla Gallura, da Oristano. Certe cose le possono trovare soltanto da me. Per ora ancora va, anche se non più come prima. E finché va, continuo. Ho due figlie che fanno l’università a Sassari». A Sassari studia anche Simone Giuliani. Fa il secondo anno di Scienze della comunicazione. «Lo scorso gennaio – dice – abbiamo dato vita a una Consulta giovanile: venticinque iscritti dai quindici ai trent’anni. Lo spopolamento è un problema complesso. Vogliamo dare il nostro contributo idee».

SERVIZI AL LUMICINO

Che la strada sia in salita, lo dicono i dati: dal 1911 al 2015 Cherèmule è passato da una popolazione di 1.016 abitanti a 437. Non c’è una guardia medica, non c’è uno sportello bancario, non c’è un’ambulanza né una guardia medica, non c’è un centro per anziani, non c’è un commissariato o una stazione dei carabinieri. L’unica farmacia, tenuta da una signora che abita a Ittiri, non apre tutti i giorni: soltanto quando da un altro paese arriva il medico condotto per le visite. Mancano scuole materne, elementari, medie, istituti superiori. Per l’istruzione dell’obbligo si va a Thiesi: 4 alla materna, 16 alle elementari, 4 alle medie. Totale: 24. Questa è la “dotazione” di bambini e di ragazzini di Cherèmule. Un numero che da solo dice tutto.

SARDEGNA ED EMILIA

Il sindaco, Salvatore Masia, è un quarantenne. Ha vinto le elezioni con una lista civica che si chiama Bene comune. «Lo spopolamento – dice – è una fenomeno che non si può arrestare. Al massimo possiamo rallentarlo. Per farlo occorrono due cose: che i piccoli comuni si mettano insieme e coordino le loro iniziative e che si definisca, con più precisione rispetto a quanto accade oggi, un quadro di programmazione regionale che metta a disposizione competenze, servizi e risorse finanziarie. Soprattutto, bisogna smetterla con la logica dei tagli lineari. Non puoi applicare la spending review in Sardegna come se fossi in Emilia Romagna o in Piemonte. Hai voglia di parlare di contrasto allo spopolamento se poi ti tolgono scuole, ospedali, uffici postali, bus, treni e stazioni dei carabinieri».

TZIU ANDRIA

A Cherèmule gli ultrasettantenni sono il 30,2 % della popolazione. In quattro hanno superato i cento anni. Salvatore Demurtas (102), Paolo Fadda (102) e Anna Maria Carta (101) vivono fuori: a Oristano, a Sassari e a Sinnai. Andrea Pittalis, 102 anni, è l’unico che sta in paese. «Qui si vive bene – dice tziu Andria – Da giovane ho fatto mille mestieri e cinque figli. La vita non era facile, l’acqua potabile dai rubinetti è arrivata soltanto nei primi anni Cinquanta. Eppure eravamo contenti. Oggi non so… forse si vogliono troppe cose». Questo vecchio unisce il mondo della tradizione all’oggi, a ciò ci ha lasciato il rapido e doloroso processo di modernizzazione che ha attraversato tutto il Novecento, in Sardegna come nel resto d’Italia. Tziu Andria è l’ultimo testimone di un tempo in cui la vita, come scriveva l’antropologo e romanziere Giulio Angioni, «nelle zone interne dell’isola non era poi molto diversa da quella dei tempi dei progenitori dell’Età del rame e del bronzo».

LA GRANDE BELLEZZA

Ecco allora le case delle fate, le tombe di Tènnero che stanno ancora lì senza che a Cherèmule si riesca a mettere insieme una cooperativa che gestisca il Parco archeologico creato dal Comune. Una zona di straordinaria bellezza, di cui nessuno sa niente, non dico a Londra o a Berlino (da cui certamente verrebbero a vedere), ma nemmeno a Sassari, a un tiro di schioppo. Ecco allora la pace da fare con i morti. Con la propria storia. Vado via da Chèremule con la sensazione che non soltanto questo piccolo paese, ma la Sardegna intera hanno molti conti da chiudere con il passato. Legati, passato lontano e recente, da un’unica trama. Nessuna lotta allo spopolamento è possibile se si continua, consapevolmente o meno, a ignorare questa verità.

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