La Nuova Sardegna

Chiara Vigo: «L’arte antica del bisso sono io»

Chiara Vigo: «L’arte antica del bisso sono io»

I tre giorni a Sassari del “Maestro della seta di mare”. Incontri e iniziative per riaprire la struttura di Sant’Antioco

12 marzo 2017
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SASSARI. Magica, sapiente e testarda. Chiara Vigo continua imperterrita la sua battaglia per salvare il suo “Museo del bisso” a Sant’Antioco. Battaglia che ha già arruolato decine di migliaia di firmatari con una petizione promossa da Maria Grazia Cucinotta e una campagna di crowdfunding (buonacausa.org/user/chiara-vigo) per raggiungere la cifra che le permetterà di acquistare lo stabile in via Montegranatico (circa 80mila euro) dove continuare l’attività di maestro della lavorazione della seta di mare – prodotta dai filamenti della “Pinna nobilis”– arte antichissima «di cui io sono l’unica depositaria vivente in tutto il mondo» come ricorda sempre Chiara Vigo.

La guerra di Chiara. La data della dichiarazione di guerra è quella del il 23 dicembre 2015 quando a Chiara Vigo è stata recapitata un’ordinanza di sfratto firmata dal sindaco a causa di un impianto elettrico non a norma. Un anno dopo il Tar sospese l’ordinanza, ma una seconda sentenza diede all’artista cinque giorni di tempo per lasciare l’immobile pubblico che aveva in comodato d’uso da 10 anni. Si aspettava un intervento da parte del Comune e dell’assessore regionale alla cultura Ferino che non è mai arrivato.

Chiara Vigo è in questi giorni a Sassari, ospite dell’associazione culturale Indaco di Sennori che ha aderito all’iniziativa di sostegno. Venerdì c’è stato un incontro, molto partecipato, nella sala Angioy del Palazzo della Provincia, ieri nel negozio Blitz e al palazzo del Marchese di Porto Torres e oggi Chiara Vigo sarà al Centro culturale di Sennori alle 19, per una manifestazione che vedrà la partecipazione del Coro polifonico città di Sennori, la Corale studentesca di Sassari e il coro Nova Euphonia.

Tante occasioni dove Chiara Vigo ha raccontato tutta la magia e la storia affascinante del bisso e della sua lavorazione e le ragioni della sua battaglia.

Maestro del bisso. «Questa dell’impianto elettrico è una scusa – sostiene pacata ma ferma l’artista del bisso –. Vogliono che mi pieghi alle loro ragioni, ma è una cosa che non farò mai. Non venderò mai le mie realizzazioni, sono oggetti che vengono prodotti per i figli e per il figli dei figli. Non mi piace l’idea di far pagare il biglietto, non mi piacciono i musei col tempo contato, il mio è un rito antico e importante, non voglio che venga banalizzato. Il museo sono io, – afferma Chiara – . Il patrimonio è in me, io sono “maestro” e come diceva mia nonna che mi ha trasmesso l’arte “c’è differenza tra mastru, mastra e maistu”, solo quest’ultimo possiede, e non impara, la maestria, l’altro è un artigiano o una domestica». Nelle sue parole c’è uno scontro epocale e un confronto tra la potenza dei riti antichissimi per la lavorazione del filato citato dalla Bibbia, richiesto ai Giudicati sardi nell’815 per la confezione degli indumenti pontifici, e la “valorizzazione” per il consumo turistico. «Quando vedo la vestizione pubblica di su Componidori spero in una rivolta dei sardi – sottolinea accorata Chiara Vigo–, anche quello è un nostro rito privato e misterioso che viene snaturato».

Scontro tra visioni. Due mondi che appaiono lontanissimi, le esigenze della spettacolarizzazione della cultura e la magia che muore appena la si ripete al di fuori del suo rito. Sempre che non siano proprio questi misteriosi incantesimi ad affascinare gli stranieri e a rendere così unica la nostra tradizione. Come il fascino del carnevale che è più forte quando il rito serve per scacciare le ombre dell’inverno, mentre le danze delle maschere sotto il sole estivo appaiono spesso come un malinconico e artefatto folclore. Chiara Vigo, ieri a Sassari, ha ripetuto, instancabile, il suo rito. L’impalpabile, prezioso batuffolo di bisso è passato di mano in mano. Ha mostrato i luminosi arazzi, ha ripetuto orgogliosa i tanti riconoscimenti che in tutto il mondo hanno onorato la sua arte, elencato i manufatti che per loro nobiltà ha accettato di tessere.

Un filo col passato. La gente le si è fatta intorno per curiosità e affetto, mentre filava pregando e cantando nella lingua dei padri. Mentre il filo dorato si componeva, nell’estenuante lavorazione che da pochi grammi produce ancora meno filato, ha cominciato a cantare. Nell’incongrua cornice del negozio si è ricreato l’universo del lavoro femminile, con i suoi gesti precisi e ripetuti, le sue chiacchiere e preghiere.

È stato come un segnale: tutti hanno lasciato lo smartphone e hanno, sommessamente, cominciato a cantare con lei “Non potho reposare”. Una istantanea di un popolo che non riesce a dimenticarsi, sempre legato da un sottile filo dorato al suo antichissimo passato.

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