La Nuova Sardegna

Il giardino dell’arte studiato dall’antropologa

di Paolo Curreli

La tenuta di Bruno Petretto è da 21 anni crocevia di creatività. Una tesi di laurea esplora il luogo e l’animo del suo creatore

08 marzo 2017
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Era il gennaio del 1995 quando una frana si fermò nella valle di Molineddu a Ossi, un luogo incantato incastrato tra le grandi montagne di tufo che portano verso Sassari. Quella circostanza fu un segnale del destino per Bruno Petretto, l’artista che vive nella valle e che decise di non spostare le grandi pietre bianche rotolate giù dal costone ma far diventare quell’evento naturale l’inizio di un’esperienza artistica tra le più originali nel panorama, non solo sardo, dell’arte contemporanea: pittura, teatro e musica di artisti di tutta Europa si sono avvicendati nei due anfiteatri costruiti da Bruno con le sue mani e tra i grandi alberi, pergolati infiniti e il rumore del ruscello.

Questa straordinaria esperienza è diventata l’argomento della tesi di laurea di Francesca Iurato – che con l’irripetibile entusiasmo e sensibilità dettati dai sui 23 anni – ha indagato lo spirito dell’uomo che c’è dietro Molineddu e il suo percorso artistico. «La mia è una tesi sperimentale sul rapporto tra arte e antropologia. Racconto l’uomo Bruno Petretto e il suo rapporto con l’arte, così particolare – spiega Francesca –. Un lavoro che si inoltra su due binari: quello intimo, personale e quello della sua creazione artistica».

Cosa ha scoperto dell’uomo Bruno Petretto?

«Sì è stata proprio una scoperta perché, a parte qualche articolo di giornale, non esiste nessun testo sull’esperienza di Molineddu. La mia è stata una ricerca antropologica sul campo durata otto mesi, con tante ore di interviste, foto e video. Nonostante Bruno sia una persona riservata, l’atmosfera serena ci ha portato a una gratitudine reciproca, fatta di pochi silenzi e molti sorrisi. Per capire Bruno ho indagato in una lunga intervista sulla sua vita, fatta anche di dolore e malattia, ha vissuto lontano dai genitori in ospedale per una tremenda ustione. Ha lavorato duramente fin da piccolo, ma il suo spirito è sempre forte, ha la grande capacità di ricrearsi sempre e di non abbattersi».

E della vicenda artistica?

«Ho scoperto che è originale e molto interessante, il prodotto di una personalità sensibile e profonda. Come scrivo nella tesi: “Artisti si nasce, la passione determina il talento”. Bruno è un autodidatta che ha la dote e la capacità di trasmettere emozioni, la sua arte ingloba la sua storia e il suo stile di vita. Ha cominciato a dipingere presto e già da ragazzino scriveva, inventava. Solo in seguito a cominciato a visitare i musei e a leggere libri di storia dell’arte, anche per non farsi trovare inconsapevole di fronte alle critiche. Nei suoi primi lavori, del 75, usa radici, favi e fibre vegetali, sono dei quadri da cui poi in seguito si dissocia. Non si voleva sentire ingabbiato nella forma quadro. La video-arte è stata la scoperta che lui sente lo rappresenti meglio».

Si percepisce un rapporto forte con la natura, è così?

«Ho studiato il rapporto tra arte e l’“antropologia della natura”: Il dialogo tra l’uomo e l’ambiente, dal mondo agro pastorale al paesaggio agrario, dalla tessitura tradizionale alle tinture. È un’antropologia dei sensi, perché ingloba il tatto, la vista, i suoni, il gusto e l’olfatto, così sono le esperienze artistiche di Bruno, totalizzanti ed estreme, senza mezze misure. Bruno si prende cura delle piante e degli animali della sua tenuta, così loro, in uno scambio reciproco gli porgono i propri frutti, in un rapporto di convivialità. Poi c’è la fascinazione per i colori naturali. Ancora più forte è il rapporto con la natura che l’artista manifesta nella video-arte, in una sua opera è imprigionato dalle radici, urla e poi si abbandona in un riposo rilassato, in un’altra cammina nella campagna andando incontro a una sagoma umana coperta di foglie, costruisce una tuta per poterla ricoprire sempre di foglie. Una immedesimazione totale, infatti dichiara “io non recito, quello sono io”. Il periodo che definisce più bello è quello dell’infanzia, quando lavora in campagna col padre, dorme nell’aia delle fave, immerso nel calore della paglia».

Cos’è Molineddu, un giardino come un mondo utopico o una galleria d’arte?

«Sicuramente non è una galleria e Bruno non è un gallerista. Molineddu è un luogo d’arte, se non proprio un’opera d’arte in continuo mutamento. Il tempo e gli eventi della natura intervengono sulle opere cambiandole, nella tesi ho raccolto le molte testimonianze di artisti che espongono a Molineddu, ognuno racconta le diversissime impressioni che questo luogo suscita in loro. Resta la definizione di Bruno “Io sono queste pietre e questa natura” ».

E il rapporto col paese e la città?

«Come spesso accade, anche a Molineddu arrivano visitatori da tutta Europa, la valle è invece sconosciuta a molti abitanti di Ossi, il rapporto con il mondo dell’arte è fruttuoso e ricco di scambi, recentemente il museo Man ha acquisito diverse opere di Bruno. Nei primi tempi il comune finanziava in qualche modo gli eventi ma ultimamente Bruno si è fatto carico anche delle spese, perché non c’è stata nessuna forma di contributo. E poi in paese in tanti non possono pensare che un intellettuale e un’artista possa anche lavorare la terra».

La classifica

Parlamentari “assenteisti”, nella top 15 ci sono i sardi Meloni, Licheri e Cappellacci

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative