La Nuova Sardegna

Bulzi, il sigillo dei Templari sulla chiesa di San Pietro

di Mauro Tedde
Bulzi, il sigillo dei Templari sulla chiesa di San Pietro

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di un monastero medievale. Una roccaforte di Roma contro Avignone durante lo scisma d’Occidente

04 marzo 2017
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BULZI. Ci sono luoghi dove sembra che davvero il tempo si sia fermato. Uno di questi luoghi si trova nella verde campagna di Bulzi, nel cuore dell’Anglona, dove sorge la stupenda chiesa medievale di San Pietro delle Immagini o, come nella tradizione popolare, Su Rughefissu (il Crocifisso). Un luogo che, forse grazie al silenzio irreale che regna tutto intorno, appare ancora oggi quasi magico e misterioso. Eppure questo luogo riesce a parlare e a comunicare quello che è stato il suo passato, attraverso i segni che l’uomo stesso vi ha lasciato nel tempo, volontariamente o meno. Segni che grazie ad una campagna di scavi archeologici condotti di recente hanno rivelato straordinarie scoperte.

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Scoperte che il direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Tempio-Ampurias Francesco Tamponi e gli archeologi che hanno condotto le ricerche hanno illustrato ieri proprio all’interno di quello che è stato l’antico monastero che circonda la misteriosa chiesa di San Pietro. La grandiosità e l’accuratezza tecnica dell’edificio, alla quale si deve l’attuale ottimo stato di conservazione, fanno ritenere che la chiesa abbia rivestito in passato un ruolo importante nel panorama dei centri monastici medievali. Il nome popolare di Su Rughefissu è dovuto al fatto di aver ospitato fino a qualche anno fa lo straordinario gruppo ligneo della Deposizione, che si ritiene giunto a Bulzi per mezzo dei monaci benedettini, ora custodito nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano a Bulzi.

Quelli che sembravano soltanto dei poveri ruderi si sono rivelati invece un monastero. «La prima scoperta – piega Francesco Tamponi – è che questa chiesa non ha un nome. La prima notizia è del 1533, quando veniamo a sapere il suo nome, San Pedro de las imagines, ma precedentemente non sappiamo come si chiamasse. Probabilmente si tratta dell’antico monastero di San Pietro di Gusulbi, che però viene contestato da un documento dei primi del 1700 in cui il vicario generale Antonio Busincu parla di questa chiesa come antica cattedrale di Ampurias. Tesi poi avvalorata dagli studi dell’Università di Sassari. In realtà avviene – spiega don Tamponi – che arriva lo scisma d’occidente nel 1370 e la Chiesa si divide in due parti. Vengono eletti due Papi, ad Avignone e a Roma e in tutte le diocesi si sviluppano vescovo e anti vescovo. I cassinesi (e siamo nella zona cassinese più importante della Sardegna, nove monasteri e tante chiese) si schierano con il papa di Roma. E mentre ad Ampurias, alle foci del fiume Coghinas, il vescovo è di ubbidienza avignonese, nel monastero di Bulzi si insedia un nuovo anti-vescovo di ubbidienza romana. I vescovi saranno ben tre. Con l’elezione del “terzo papa” la Chiesa si riunisce, ma durante le terribili guerre fra i Doria anche la chiesa locale viene coinvolta. A Bulzi il monastero viene raso al suolo per utilizzare il legname per le macchine da guerra, gli scavi hanno rivelato anche i bivacchi dei soldati.

Il luogo rimane poi deserto e nel 1461 un vescovo, Nicolau De Campo, riedifica la struttura e parte di essa viene trasformata in silos. Il segnale che questo fosse un monastero sono gli ambienti, l’aula capitolare, gli spazi di servizio, gli spazi per l’accoglienza degli ospiti, la foresteria e gli “appartamenti” per i pochi monaci che vi abitavano. E poi i depositi delle derrate alimentari e la cucina e sempre all’interno la cisterna e il pozzo. Nicolao de Campo o Gallulesu ricostruisce il tetto della chiesa (chiama per questo il mastro Leonardus) come si legge sulle travi, che sino ad ora erano illeggibili, all’interno della chiesa”.

A Bulzi insomma come a Tergu esisteva un domo giudicale di una famiglia nobile, i Cardia, che farà poi le grandi donazioni al monastero. Infatti nel 1220 il monastero dispone di molte sostanze e così viene costruita la chiesa, la sua facciata con il transetto e l’abside. Lo faranno dei costruttori francesi che lasciano una firma misteriosa che si intravvede nell’arco della facciata e i lavori vennero finanziati da una banca molto ricca e internazionale, che era quella dei Templari. In una monofora si apprezza infatti il “timbro” della banca, la croce patente templare. «La chiesa è anche un orologio – precisa Francesco Tamponi – con le tre monofore che si accendono e, in pochi secondi, si spengono (dall’ora sesta all’ora nona) in virtù della presenza de Su Rughefissu, il rarissimo gruppo ligneo di cui esistono solo 15 esemplari in tutto il mondo».

Un’infinità di reperti ritrovati con gli scavi verranno studiati e catalogati. Fra questi la base di un candelabro di bronzo con incisioni celtiche. Per lo studio ed i rilievi dell’edificio sono stati utilizzati moderni mezzi, come il drone per le riprese aeree e per ottenere immagini dettagliate della struttura. I lavori sono stati condotti dagli archeologi Domingo Dettori (direttore degli scavi) e Giovanna Liscia, in collaborazione con Nadia Canu della Soprintendenza per i Beni architettonici e sono stati finanziati dallo stesso Ufficio Diocesano e dal Comune di Bulzi.

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