La Nuova Sardegna

Sulle montagne del Limbara alla ricerca di una Porta d’oro

di COSTANTINO COSSU
Sulle montagne del Limbara alla ricerca di una Porta d’oro

Turismo, cultura e recupero dei saperi locali per reagire al declino

28 febbraio 2017
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di COSTANTINO COSSU

A Bortigiadas entro per via Trieste. Sfioro veloce lo smart e scopro che da queste quattro case, arroccate sulle prime pendici del Limbara, Trieste dista, in linea d’aria, 654 chilometri; 850 se uno volesse farsela in auto, tempo di percorrenza stimato (escluso il traghetto) 15 ore e 9 minuti. Numeri falsi, perché Trieste da qui è molto più lontana. Il legame (e il senso della scelta toponomastica) sarebbe l’Unità d’Italia, il Risorgimento, il sangue versato sul Carso dai sardi. Il maestrale, però, che anche oggi soffia da Punta Balistreri giù per l’alta valle del Coghinas sino alle Bocche di Bonifacio, queste cose se le è portate via da un sacco di tempo.

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CILIEGI E CIPRESSI

Quasi alla fine del suo tracciato via Trieste si allarga in una terrazza che si affaccia su una vallata un tempo coltivata a ciliegi, ad aranci e a limoni e oggi coperta di querce e di lecci. A destra della terrazza, l’unico bar del paese. Trenta metri più su il Municipio. Proseguo oltre e trovo prima l’ospizio degli anziani e poi, quasi attaccato, il cimitero. Apro il taccuino e controllo i dati dei censimenti: a Bortigiadas dal 1844 al 2015 la fetta di popolazione dai 0 ai 19 anni è passata dal 45,8 % al 13, 4% e quella oltre i 70 anni dal 2,2 al 26,5 %. Scosto il cancello di ferro del cimitero ed entro. Non saranno più di 150 metri quadrati: cipressi, loculi e poche tombe di famiglia. Ritorno al taccuino: dal 1951 il paese è passato da una popolazione di 1614 abitanti a una di 775. Trend demografico negativo: ogni anno, da decenni, i morti più numerosi dei neonati. Lascio i sepolcri, mi chiudo alle spalle il cancello e penso che la cosa che devo fare ora è andare a sentire le voci dei bambini, vedere i loro volti.

LE VOCI DEI BAMBINI

Anche le scuole elementari stanno in via Trieste, in un edificio giallo pallido che sembra costruito negli anni Cinquanta. Su un corridoio si aprono le aule. Le porte sono spalancate, le voci dei bambini che seguono le lezioni sono una musica di festa. I loro volti una promessa. «In realtà – mi spiega la maestra Francesca Pedroni – di aule ne utilizziamo solo due, perché i bambini sono appena una ventina, distribuiti in due pluriclassi: una per i piccoli dai sei agli otto anni e l’altra per quelli dai nove ai dieci. Ed è una fortuna che i tagli decisi dal ministero e attuati dalla Regione non ci abbiamo tolto anche questo». Maestra Francesca è di Tempio, ha 42 anni e prima di arrivare a Bortigiadas ha insegnato a Olbia. «Lì le classi erano molto numerose. Qui lavoro meglio. Il rapporto con i bambini, così pochi, è più proficuo. E anche con le famiglie si dialoga bene. Amano molto i loro bambini. Li seguono con attenzione e con cura. Vuole sapere che cosa penso dello spopolamento? Le dico che è assurdo che i piccoli paesi della Sardegna lontani dalle coste siano lasciati morire così. Bortigiadas e tanti altri luoghi hanno grandi risorse. Bisogna crederci. Ritornare a promuovere l’agricoltura, ad esempio, puntare sulla commercializzazione e sulla trasformazione industriale di prodotti alimentari di eccezionale qualità. E poi spostare il baricentro delle attività turistiche dal mare alle zone interne. I Comuni da soli, però, non ce la possono fare. Serve una programmazione regionale. Smettiamola di buttare via i soldi nei poli industriali petrolchimici e spendiamoli qui, in questi nostri meravigliosi paesi, per questi nostri straordinari bambini».

LA FORZA DELLA LETTURA

Chiedo alla maestra Francesca se a Bortigiadas ci sono le medie. Mi dice di no: bisogna che quella decina di ragazzi che le frequentano vadano a Tempio. Uguale, ovviamente, per le superiori. Con la fortuna, per Bortigidas e per i suoi ragazzi, che Tempio dista appena otto chilometri. Scendo allora al piano terra, dove l’edificio giallo pallido anni Cinquanta ospita la biblioteca comunale. La cura un trentenne, Adriano Deiana. «In un paese come Bortigiadas – dice – noi siamo un presidio, come le scuole. Perciò teniamo duro. La risposta della gente è buona. Lavoriamo soprattutto con i bambini e con i loro genitori, ma da un po’ ci stiamo provando anche con gli anziani, che qui sono tanti. Questo è un paese che non vuole mollare. E a resistere i libri servono, molto».

I CANI DELLA MORTE

Eccolo di nuovo, fuori, il maestrale, che si ruba le voci di maestra Francesca, di Adriano e dei bambini. Torna il silenzio delle strade vuote. Salgo verso il contrafforte roccioso che a Nord chiude il piccolo cerchio delle case. Lo sguardo corre sulla consueta scena architettonica dei paesi sardi: poche le abitazioni in pietra (qui in granito) alle quali siano state risparmiate facciate intonacate colore verde mare, ocra, arancione, celeste, lilla. Fraintedimento della modernità, una piccola resa non senza costi. In via Simone Cossu, in una parte del paese dove al contrario le strade sono state restaurate ripristinando i vecchi fondi in pietra grezza, su un muro trovo uno dei pannelli che il Comune ha fatto mettere ai muri delle case come arredo urbano. Portano stampate frasi di scrittori e di poeti. Su quello in cui mi imbatto è stampato un brano di Francesco Masala, il romanziere del “Dio petrolio” e di “Sos Laribiancos”, testi che smontano ideologia e retorica dello sviluppo affidato alle industrie finanziate coi soldi pubblici e della fedeltà dei sardi guerrieri alla patria dei Savoia e dei Mussolini: «La nostra terra – leggiamo sul muro della casa di via Simone Cossu – è un disperato mucchio di monti di basalto e di nuraghi scuri. Nelle tanche di ferula, i cani della morte, neri come la notte, abbaiano agli occhi della luna». È il referto di una sconfitta storica. Ma qui a Bortigiadas nessuno si sente sconfitto. Il paese non dà la sensazione di un posto dove le persone si siano arrese ai “cani delle morte”.

LA MADONNA ADDOLORATA

Salgo le scale del Municipio ed entro nella stanza di Marcello Sechi, l’assessore all’Ambiente. Mi dice che cosa l’attuale amministrazione di Bortigiadas sta facendo contro lo spopolamento. Le case vuote, che qui sono tante, acquistate con i soldi ricavati dalla concessione per le pale eoliche piantate su un’alta costa di granito non lontano dal paese. Abitazioni consegnate a giovani che decidono di non andarsene. E poi il sostegno a coppie con figli piccoli se si impegnano a mantenere il domicilio a Bortigiadas, piuttosto che scappare a Tempio o a Olbia. E anche l’assessora alla Pubblica istruzione e alla Cultura, Maria Viola Oggiano, parla di cose già fatte e da fare. Tra le prime, le due classi delle elementari salvate dalla spending review; tra le seconde, un progetto dell’Unione dei Comuni dell’alta Gallura di accoglienza ai migranti che fuggono da guerre e fame. Il parroco Francesco Tamponi, che con il sindaco Emiliano Deiana sta lavorando per portare a Bortigiadas alcune famiglie di rifugiati siriani, mi dice che ha rimesso in piedi l’antica confraternita di Santa Croce. Se ne occupano due giovani, Alessandro Piga e Giada Muretti. Giada coordina anche il gruppo folk: «Riscopriamo – spiega – tradizioni che non sono folklore da vendere ai turisti: sono saperi millenari sui quali si fonda il senso di identità della nostra comunità. Siamo convinti che sia un lavoro importante. Non c’è futuro se perdiamo il passato».

LA PORTA D’ORO

Nella chiesetta di Santa Croce – solidi muri di granito eretti quattro secoli fa – un’antica statua in legno della Madonna addolorata accoglie il visitatore. C’è freddo e buio nell’unica grande navata, ma fuori la giornata è chiara, il sole è forte. Un buon auspicio, incoraggiati dal quale saliamo in auto per lasciare Bortigiadas e raggiungere, due chilometri più a Est lungo la statale 127, l’ultima tappa del nostro viaggio: il Golden Gate. È il ristorante del trentenne Gianfranco Pulina, volto televisivo del Gambero Rosso, scelto come “Chef dell’anno 2016” da una delle riviste americane di riferimento del glamour a stelle e strisce, “Travelscore”, che così si presenta ai lettori: “A magazine with the hottest special services about gourmet, luxury hotels & restaurants, events, travels». Apparentemente siamo lontani anni luce dalla chiesa di Santa Croce. Poi però Pulina mi racconta che nei piatti compresi nel suo menu, che porta al Golden Globe più di 40 mila clienti l’anno, compaiono solo ingredienti che vengono o dai suoi orti o da produzioni sarde di eccellenza, tutte certificate. Gli antichi saperi della cucina dell’isola, una forma altissima di cultura. E allora è evidente che tra la Madonna addolorata e la zuppa gallurese di Pulina il legame è strettissimo. A chi volesse smettere di guardare al mondo attraverso le lenti deformanti di un modello di sviluppo oggi travolto dal disastro, apparirebbe chiaro che per la Porta d’oro aperta dallo chef amato dagli yankee passa il futuro.

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