La Nuova Sardegna

L’addio a Giulio Angioni, la voce più pura dell’isola

di Giacomo Mameli
L’addio a Giulio Angioni, la voce più pura dell’isola

Una folla commossa, inspiegabilmente assente la politica regionale

16 gennaio 2017
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SETTIMO SAN PIETRO. Non ci sono «i fiori antichi di Marietta nell’aiola della palma». Ma tanti cuscini con rose rosse, gigli e gerbere bianche. Circondato da questi colori Giulio Angioni è stato sepolto davanti a un campo di grano, nel cimitero Is Argiddas, le argille, terreno fertile per cereali tra «i deserti di silenzio». Temperatura quasi polare, i monti di Serpeddì e Burcei bianchi di neve. Sotto il camposanto, c’è un torrente con i lucci argentati. Davanti al loculo dove il professore riposa dal pomeriggio di ieri si vedono colline verdi come quelle di Fraus. Campidano e Trexenta pari sono, Sardegna agricola, amata e studiata da uno dei pochi nomi eccellenti della cultura sarda contemporanea.

Con le fasce tricolori, nella sala del Consiglio comunale con due gonfaloni e tante bandiere, è stato salutato dagli amministratori del paese dove ha vissuto per quarant’anni e di quello dove era nato, rione contadino di Funtana idda. Tanta gente per un funerale laico, docenti universitari, la preside della facoltà di studi umanistici Rossana Martorelli, nessuna autorità della giunta e del Consiglio regionale, solo l’ex presidente della Regione Renato Soru. I familiari in prima fila, la moglie Marinella, il figlio, i fratelli. Né De Profundis, né Requiem aeternam. Non sono state sciolte neanche le campane della chiesa gotica di San Pietro. L’antropologo, lo scrittore, il poeta, il sardo che amava la Sardegna, è stato salutato dalle note delle trombe di Riccardo Pittau e Francesco Bachis, quest’ultimo uno degli allievi che apprezzava. Hanno proposto «Mutetu de tristura», un sonetto scandito da una dolce tristezza, tratto da Folk Songs di Luciano Berio, antologia di undici canti popolari dei Cinque Continenti dove la terra dei nuraghi è presente assieme a «I wonder as I wander» degli Stati Uniti e «Loosing yelav» dell'Armenia. Cinque minuti di musica mesta, quella che tocca il cuore, ispirata dai versi del «Passero solitario» di Giacomo Leopardi e le rime baciate del ritornello sardo «Tristu passirillanti». Angioni –16 maggio 1998 – lo aveva commentato a Perdasdefogu, sotto l’albero della vita della chiesa preromanica di San Sebastiano, in occasione dei duecento anni della nascita del poeta davanti al sindaco di Recanati Roberto Ottaviani, a Giovanni Lilliu, Giovanna Cerina e Antonio Romagnino. Il canto del passero della torre antica è diventato concerto in un palazzo moderno, ad apprezzarlo più di tutti è stato il figlio di Giulio, Marco, musicista, titolare dell’agenzia Dis Sound & Image, studio in Danimarca, nell’isola di Morsoe, Nykoebing. Con lui la moglie Lena, fotografa: «Queste note sembravano studiate per papà, erano molto amate da lui e, da oggi, anche da tutti noi».

Il feretro è al centro della sala consiliare. Sullo sfondo un grande olio del paese, sembrerebbe Guasila, ma troneggia un campanile molto diverso da quello della Chiesa dell’Assunta. Cuscini di fiori, quelli della famiglia, delle nipotine, gli antropologi, gli amici della Cernita Teatro, gli amici e le amiche del “Manifesto sardo”. In fascia tricolore il sindaco di Guasila Paola Casula, Settimo è rappresentato dal vicesindaco Antonello Cuncu (il sindaco assente per il contemporaneo funerale della mamma). C’è Nino Pala, di Luras: «Gli avevo battuto la tesi di laurea con la Olivetti 32». Parla la sorella Graziella, gli dice: «Eri buono come il pane»; parla un nipote, Felice Tiragallo è portavoce degli antropologi e ne sottolinea «l'ostinazione, il lavoro interpretato come leva per la trasformazione del mondo, l’importanza che dava alla parola, al linguaggio». I fratelli ascoltano in silenzio, statue di dignità. Davanti al feretro si alternano la Martorelli e un altro docente, Benedetto Caltagirone, che rievoca un seminario ad Aix en Provence sull’antropologia mediterranea per concludere: «Ci mancherà soprattutto il suo pensiero».

Da Nuoro invia un messaggio la scrittrice Bastiana Madau: «Le opere di Angioni erano illuminate dalla riflessione morale e civile, mai prescrittive, ideologiche o moralistiche». Il suo amico-fratello Salvatore Atzori racconta dei libri a cui Angioni stava lavorando, del primo viaggio per il liceo dai Giuseppini di Asti «imbarcati il 6 ottobre del 1951 sulla nave Città di Trapani». Si scopre un Giulio Angioni che «suonava Trallallera con la fisarmonica e mai abbiamo saputo come se la fosse procurata» e di un «rivoluzionario Giulio» che, dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici «vuol andare a dare una mano ai ribelli che sognavano la libertà». Dal palazzo comunale al cimitero. Silenzio, lacrime e sorrisi. Una sua alunna sussurra: «A Giulio era cara la vita».

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