La Nuova Sardegna

«Una donna proiettata in Europa»

di Grazia Brundu
«Una donna proiettata in Europa»

Presentato a Sassari “I luoghi, gli amori, le opere” della scrittrice sassarese Rossana Dedola

14 gennaio 2017
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SASSARI. Le biografie scritte da Maria Elvira Ciusa e da Luciano Marrocu, e quella (del 2013) di Maria Antonietta Piga; il romanzo “Quasi Grazia” di Marcello Fois e il via libera all’edizione nazionale delle opere che inizierà a marzo. Il 2016 è stato un anno fortunato per Grazia Deledda. Non ne dubita Aldo Maria Morace, docente di Letteratura italiana all’Università di Sassari e presidente del comitato che curerà la pubblicazione dell’opera omnia della scrittrice nuorese.

La primavera deleddiana alla fine è arrivata a scongelare quei giudizi supponenti che per decenni hanno etichettato l’unica scrittrice italiana Premio Nobel come minore, sorda ai temi culturali della sua epoca, irrimediabilmente ottocentesca. E pazienza se ci sono voluti novant’anni dal riconoscimento svedese – conquistato nel 1927 per il 1926 - e ottanta dalla morte. Tra le biografie più recenti che hanno il merito di accelerare il disgelo c’è anche “Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere” di Rossana Dedola, pubblicata a novembre dall’editore Avagliano e presentato, con l’intervento dell’autrice, nella Biblioteca Universitaria di Sassari. Quasi quattrocento pagine che scorrono veloci, una narrazione volutamente semplice e allo stesso tempo profonda, ricca di uno slancio che si accorda bene alle trame e ai personaggi dell’autrice nuorese. Solo che questa volta, per un ribaltamento di ruoli, il personaggio è proprio Grazia e la Dedola – che è saggista, scrittrice e psicanalista di scuola junghiana, è nata a Sassari e vive tra Roma e la Svizzera - ne fa echeggiare la voce, prima di ragazzina poi di donna matura, attraverso una gran quantità di lettere autografe che ne restituiscono un’immagine frizzante, arguta e piena di vita. Ma soprattutto, come sottolinea ancora Morace, «proiettata in una dimensione europea, ben inserita nell’ambiente letterario romano e appartenente di diritto alle grandi scritture del Novecento». Addirittura “sperimentale”, secondo il giudizio di Federico Tozzi, che le dedicò un saggio dopo averla conosciuta a Roma, dove la Deledda visse dal 1900 fino alla morte nel 1936. E dove conobbe e frequentò, tra gli altri, Angelo De Gubernatis, Elenora Duse, Matilde Serao, Luigi Pirandello, Stanis Manca, Giacomo Balla.

Il libro della Dedola ha tra i meriti principali quello di documentare l’apertura all’Europa di Grazia Deledda grazie alla scoperta di ottantasei tra lettere e cartoline finora inedite, reperite nelle biblioteche di Weimar, Zurigo e Vienna. Tutte indirizzate dalla scrittrice di Nuoro a Justine Rodenberg, moglie di Julius Rodenberg, il direttore della “Deutsche Rundschau”, la rivista letteraria più importante in lingua tedesca nella prima metà del Novecento. Un carteggio, e un’amicizia personale, che durò anni e che per Dedola è una prova ulteriore dei tanti contatti che Grazia Deledda tesseva per promuovere all’estero i suoi romanzi. Per la saggista il carteggio con la Rodenberg testimonia anche il fatto che Grazia Deledda pensava al Nobel almeno fin dal 1912, l’anno cioè in cui iniziò a comporre “Canne al vento”, e infatti in più di una lettera non esita, cortese ma decisa, a sollecitare raccomandazioni per la sua candidatura. Del resto una grandissima coscienza di sé e del proprio valore risulta chiara fin dalle tante lettere scritte dalla Deledda adolescente e giovane donna nei suoi anni nuoresi, e riportate in capitoli tra i più affascinati e divertenti del libro. Dal piccolo borgo di Nuoro la giovane Grazia si teneva in contatto con il resto dell’Italia e scriveva allo scrittore Giulio Cesari, al critico letterario Stanis Manca – che prima la descrisse come una italica George Sand e poi le spezzò il cuore - ad Andrea Pirodda (che però stava in Sardegna) e perfino a Angelo De Gubernatis, di trent’anni più anziano di lei. A tutti raccontava delle sue ambizioni letterarie, dei racconti scritti e dei libri letti. Tra questi, come ha scoperto Dedola in casa dei nipoti della sorella Peppina, Thomas Mann, Kipling, gli scrittori nordici e perfino Tagore, altro Nobel, che Dedola accosta alla Deledda per la sua «concezione della ciclicità dell’esistenza come parte del cosmo».

Ai corrispondenti Grazia raccontava anche delle difficoltà quotidiane che doveva affrontare per diventare una scrittrice in un posto come Nuoro dove, come si legge nella biografia, l’analfabetismo femminile toccava il 99,18 per cento. E in tutti vedeva possibili fidanzati che la aiutassero finalmente ad andarsene dall’isola per trasferirsi a Roma. Ci riuscì solo a ventotto anni, sposando Palmiro Madesani. Degli anni romani il saggio di Dedola sottolinea la vicinanza della Deledda, che pure non fece mai politica attiva, a temi dibattuti in quel periodo tra cui il divorzio (nel libro “Dopo il divorzio”) e la maternità fuori dal matrimonio, raccontata per esempio in “Cenere” del 1904.

E poi la sua posizione di donna intellettuale, non condizionata dal fascismo allora imperante, che le attirarò le antipatie di intellettuali importanti come Ugo Ojetti e Luigi Pirandello.

Il quale la avversava anche perché riteneva poco maschile e indecoroso – come scrisse, sotto il velo della finzione, in “Suo marito” - che Palmiro Madesani la sostenesse nella sua carriera letteraria.

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