La Nuova Sardegna

Vassallo: «Le mie foto, un grido di protesta contro l’ingiustizia»

di Giacomo Mameli
Vassallo: «Le mie foto, un grido di protesta contro l’ingiustizia»

“Le città invisibili”, la mostra in corso a Cagliari Un reportage dai paesi sardi a rischio di estinzione

28 dicembre 2016
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CAGLIARI. Gianluca Vassallo, il fotografo che da San Teodoro, dove vive da tempo, ha fatto il cronista col grandangolo nei villaggi sardi delle anime morte, dice: «Ho attraversato dieci paesi in altrettanti giorni. In alcuni di questi, la consapevolezza collettiva di una scomparsa progressiva di quella comunità, o di quella identità comunitaria, si  manifestava non per l’assenza di donne e uomini nelle strade, non per le case decrepite, per le scuole vuote, per le poste chiuse, ma per la qualità degli sguardi che mi venivano rivolti, appena arrivato. Uno sguardo che sembrava dire: “Bene, ecco un altro che viene a vederci morire”».

Vassallo, 42 anni, musicista di formazione, proprietario di un caffè letterario, organizzatore di concerti, autore della mostra “La città invisibile” in corso alla Fondazione di Sardegna dove – in un convegno organizzato dal collettivo Sardarch – è stata tracciata un’analisi sullo spopolamento, dice di «usare soprattutto il corpo per fare anche il lavoro di fotografo». Ma subito avverte: «Non sono un fotografo: ce ne sono tanti nel mondo». E spiega: «Per me la fotografia non esiste. Esiste soltanto ciò che della realtà ci offende, ovvero tutto ciò che viene escluso, messo ai margini. Nei paesi sardi ho visto la realtà degli esclusi in paesaggi dominati dall’immobilità. Mi esprimo col video, col suono, con le installazioni che documentano gli aspetti relazionali, quando ci sono naturalmente perché spesso, anche nei villaggi sardi con poche anime, più delle relazioni colpiscono i silenzi».

Un extraterreste nella Sardegna che si spopola?

«A Semestene, per esempio, lo stesso sindaco, che era informato del mio arrivo, ha avuto l’ atteggiamento di cui dicevo. Ero un altro che arrivava a vedere la morte del paese».

Forse è avvenuto dovunque, da Armungia al Logudoro di Francesco Masala.

«A proposito di Masala: a Nughedu San Nicolò ho sentito un desiderio di riscatto così forte, una voglia di sopravvivere al destino che viene diagnosticato loro. Per quanto sentano forte la presenza della malattia, altrettanto potentemente cercano, grazie a sindaci e a cittadini straordinari e a una volontà che viene dal basso, di generareanticorpi che servono a preservare la propria presenza nel mondo, la loro voce. A Padria, a Bortigiadas, in molti paesi i volontari organizzano convegni, incontri, portano i bambini in piazza a disegnare con i pastelli e i pennarelli. Perché vogliono vivere».

Che cosa le fa più impressione nel silenzio totale della politica sul dramma spopolamento?

«Quando sento un assessore regionale dire che in un piccolo paese si può chiudere la scuola! Siamo davvero all’assurdo. Chiudere una qualunque scuola è come negare l’acqua, come togliere l'aria. Così si muore».

Lei viene da Torre Annunziata. Muore tutto il Sud.

«Qui in Sardegna ho portato con me la storia del mio sradicamento. La stessa che mi segue quando affronto l’America, quando l’Africa me la fa dimenticare, quando Milano diventa bellissima e la Sardegna, la mia Sardegna, mi attende sull’uscio per capire se è tempo di offrirmi il beneficio di essere suo».

Vassallo e la Sardegna: quale rapporto?

«Ho imparato a guardare dentro le persone di questa isola; mi sento più sardo dei sardi. Uso l’arte per urlare, per denunciare. Con la mostra “La città invisibile” vorrei urlare la mia rabbia per chi nulla fa per bloccare l’eutanasia dei paesi sardi».

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