La Nuova Sardegna

Fumetti cult, Martin Mystère sbarca nel Sinis e indaga sui Giganti di Mont ’e Prama

Un'immagine della storia ambientata in Sardegna
Un'immagine della storia ambientata in Sardegna

Il personaggio dei cartoon protagonista di un'avventura ambientata in Sardegna. La storia è stata scritta da Andrea Voglino per la Bonelli

27 dicembre 2016
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Una battuta al cinghiale nella zona di Mont ’e Prama si conclude con la morte di un cucciolo di dinosauro che porta su di sé il marchio di Atlantide. Dopo aver raccolto la creatura, i cacciatori vengono però sorpresi, prima di svenire, dall’apparizione di un gigante di pietra. Sull’avvenimento si mette a indagare Martin Mystère. La nuova avventura del detective dell’impossibile, personaggio storico della Sergio Bonelli Editore, ha come sfondo la Sardegna. Il 5 gennaio arriverà in edicola “L’arca dell’estinzione”, terzo numero di una miniserie speciale inaugurata a novembre: “Martin Mystère, le nuove avventure a colori”. Un progetto supervisionato da Alfredo Castelli, creatore dell’originale nel 1982, e che coinvolge una squadra di sceneggiatori, raccolti sotto il nome di Misteryani, della quale fa parte anche Andrea Voglino. Milanese, con origini barbaricine, è sua l’idea di inserire nella storia i Giganti di Mont ’e Prama. «Mia madre è di Nuoro – racconta l’autore – ma conosco bene anche la zona di Oristano e del Sinis».

Voglino, ma chi sono i Misteryani?

«Sei sceneggiatori dalla comune militanza bonelliana, scelti da Alfredo Castelli per dar vita a questa nuova versione alternativa e contemporanea di Martin Mystère».

È abbastanza inusuale nel fumetto una scrittura così corale. Fa venire in mente le riunioni di sceneggiatori per le serie tv. Voi come avete lavorato nel concreto?

«Il gruppo si è formato in seguito a una serie di riunioni cui ha partecipato il gotha degli sceneggiatori Bonelli. Incontri molto aperti che sono serviti per delimitare la cornice narrativa in cui far muovere il personaggio. A valle di questi incontri, Alfredo Castelli ha scelto una squadra con Giovanni Gualdoni come coordinatore, Andrea Artusi come sceneggiatore e storyboard artist, me e Diego Cajelli come story-men e dialoghisti più Enrico Lotti e Ivo Lombardo come scrittori ed enciclopedici. Questo, a grandi linee: perché poi la storia è scaturita durante jam session fiume, con tutti i presenti intorno a un tavolo a snocciolare e votare idee, trovate e invenzioni per costruire il singolo episodio da passare ad Alfredo per l'approvazione finale».

Quali sono stati i principali problemi in questa impostazione e guardando dalla prospettiva opposta i vantaggi di un lavoro così collettivo?

«Normalmente quello dello sceneggiatore è un mestiere solitario, dove si tende a concentrarsi solo su se stessi e sui consigli dell'editor di turno. In una writers’ room si impara a tenere a bada l’ego e a mettersi totalmente al servizio della narrazione. Ma il sacrificio compiuto in termini di autonomia creativa paga sul piano della ricchezza delle trame, delle soluzioni narrative. Questo senza contare l’aspetto umano. Non capita spesso di divertirsi tanto lavorando».

Che caratteristiche avete voluto dare al personaggio e alle storie di questa serie?

«Il mandato di Alfredo era quello di presentare ai lettori un Martin più contemporaneo, più giovane e vicino agli stilemi e alle suggestioni di serial di successo come “Sherlock”, “Doctor Who” o “Agents of Shield”. L'approccio televisivo ha comportato suggerimenti come la sostituzione di Java con un nuovo comprimario, il nerboruto e imperscrutabile Max, e l’ambientazione italiana. E abbiamo potuto scegliere location di grande suggestione».

Tra queste la Sardegna. È stata scelta per la teoria di Atlantide?

«Naturalmente sì. A dirla tutta però questa non è la prima avventura di Martin in Sardegna: ormai tanti anni fa, nel numero “Il mistero del Nuraghe”, il Martin classico aveva dovuto vedersela con lo Scultone, il drago mitologico del folclore sardo. Nel nostro caso, abbiamo ripreso quell’intuizione frullandola insieme alla fantarcheologia di Peter Kolosimo e alle teorie dei cospirazionisti. Ne è scaturita una storia che conclude il primo ciclo delle Nuove avventure a colori».

E com’è nata l’idea di inserire nella storia anche i Giganti di Mont’e Prama?

«L’idea mi frullava in testa da molto tempo, da una serata di oltre vent’anni fa in cui un amico di famiglia ci confidò che in un terreno agricolo vicino Cabras erano state scoperte e subito nascoste alcune misteriose statue che costituivano un unicum assoluto nella storia dell’archeologia. L’interesse, poi, è cresciuto quando ho finalmente potuto incontrare i Giganti al museo archeologico di Cabras. Atleti Nur, sì, ma con occhi come fanali, trecce come tubi di alimentazione, muscoli perfetti come quelli degli androidi dei fumetti di Jack Kirby. I candidati ideali per interpretare dei robot venuti da Atlantide. Al team di sceneggiatura sono piaciuti subito».

Al disegnatore cosa avete chiesto in particolare per la riproduzione delle statue e più in generale per le tavole con ambientazione sarda?

«Le sculture e le località originali sono state riprodotte con notevole precisione filologica dal disegnatore Sauro Quaglia e dal colorista Daniele Rudoni a partire dalla documentazione fotografica fornita durante la lavorazione. Dai boschi del Montiferru, al centro di Oristano, fino alle morbide collinette intorno a Cabras, tutto è esattamente come nella realtà. Fatta eccezione, ovviamente, per le licenze narrative rispetto al sito, che nella nostra storia lascia il posto a qualcosa di decisamente più mysterioso».

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