La Nuova Sardegna

L’uomo che rimise la Resistenza con i piedi per terra

di LUCIANO MARROCU
L’uomo che rimise la Resistenza con i piedi per terra

Guerra di liberazione ma anche guerra civile tra italiani Sì è spento a 96 anni lo storico che fu anche partigiano

30 novembre 2016
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di LUCIANO MARROCU

Claudio Pavone, lo storico antifascista che per primo definì anche come una guerra civile tra italiani il periodo della Resistenza, è morto ieri a Roma all’età di 96 anni. Nato nella capitale il 30 novembre del 1920, Pavone è stato autore di numerosi saggi, ma è ricordato soprattutto per il volume «Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza”», edito nel 1991 da Bollati Boringhieri, che segnò uno spartiacque nella storiografia sul periodo tra il 1943 e il 1945.

Pavone era nato in un’agiata famiglia borghese. Scoppiata la guerra, dopo aver prestato servizio allafrontiera con la Svizzera, a causa della morte del padre gli era stata concessa una lunga licenza nella sua città e a Roma, nell’autunno del 1943, era entrato nella Resistenza. Ritornata la pace, dopo un breve intermezzo come impiegato della Confindustria, era stato funzionario degli Archivi di Stato, svolgendo, tra gli ultimi anni Sessanta e i primi Settanta, un ruolo di primissimo piano nella riorganizzazione dell’Archivio centrale dello Stato all’Eur. Che non si trattasse solo di una riorganizzazione burocratica, lo si poteva capire stando ai tavoli della sala studio dove arrivavano, a pochi minuti dalla richiesta, in voluminosi faldoni, documenti di poco più di un decennio prima. Una liberalità, nella gestione delle carte d’archivio, non confermata negli anni successivi.

Sia l’esperienza della Resistenza sia il lavoro di archivista costituirono le premesse del libro più importante di Pavone, “Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza”. Un libro che fece molto discutere non solo gli storici di mestiere e che, sin dal titolo, metteva giù limpidamente le sue carte. La capacità del libro, e anche del suo autore, di parlare a un pubblico largo non deve far pensare che Pavone si muovesse al di fuori dei modi della storiografia accademica, percché anzi proprio la conoscenza che aveva di primissima mano degli archivi e il ruolo che aveva avuto nel promuovere l’accesso ai documenti degli anni del fascismo lo spingevano verso quel di più di rigore che, insieme con una prosa limpida, era il suo marchio di fabbrica. Alle tesi articolate poi nel suo saggio più famoso, Pavone si era avvicinato negli anni. Quando, ricordando il 25 aprile 1945 a Milano, parlava di «pulsione di festa e spettacolo di morte» anticipava una idea della lotta di Liberazione lontana da ogni enfasi celebrativa. Non perché la Resistenza e il 25 aprile non dovessero essere ricordati con orgoglio ma perché, oltre la celebrazione e in un certo senso alla base di essa, c’era la ricostruzione storica, E la ricostruzione storica non poteva esimersi dal chiamare le cose con il loro nome. Il che comportava accostarsi ai documenti con rigore filologico, ma sostenuti anche da una moralità – alias amore per la verità, onestà intellettuale, coraggio – che era poi la stessa che aveva animato la Resistenza.

Tra i meriti del saggio di Pavone, quello di aver scardinato le certezze di molti, storici di professione o meno, che della storia della Resistenza avevano fatto un celebrar messa. E di aver dato spazio alle domande e alle incertezze di tanti che in quel biascicare vecchie litanie non trovavano risposte. La Resistenza secondo Pavone era stata, oltre che guerra di liberazione dai nazifascisti e scontro di classe, anche una guerra civile tra italiani. Una affermazione che oggi può sembrare ovvia, ma che, ancora negli anni Ottanta, non poeteva emergere in tutta la sua limpidezza, soffocata com’era dalla rissa ideologica. Merito di Pavone quello di aver restituito quel pezzo di storia agli italiani tutti. Di aver dato loro modo di comprendere, attraverso un percorso non facile di riflessione e di ricerca, ciò che lui stesso aveva definito «moralità della Resistenza».

Avendolo conosciuto personalmente, rimane vivo il ricordo di una persona gentile, di un uomo generoso, del padre nobile di tante buone cause, non soltanto storiografiche.

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