La Nuova Sardegna

L’emergenza sono gli attentati

di Costantino Cossu
L’emergenza sono gli attentati

La frequenza delle intimidazioni a sindaci e imprenditori è la più alta d’Italia

29 novembre 2016
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SASSARI. Scorrono sullo schermo le slide con i grafici. I numeri fotografano i dati più recenti sulla criminalità in Sardegna raccolti da un gruppo di giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze politiche ( Daniele Pulino, Manuela Pulina e Sara Spanu) coordinato da Antonietta Mazzette e da Camillo Tidore. Ma più dei numeri servono, a capire di che cosa si sta parlando, le parole di Giuseppe Pulina, il docente di Agraria che la giunta Pigliaru ha chiamato a dirigere quello che oggi si chiama Forestas e che i sardi per decenni, dal dopoguerra, hanno conosciuto e chiamato Ente Foreste. Una roba che ha 6.500 dipendenti, nella grandissima parte operai con bassa qualifica; dopo la sanità, il più grande datore di lavoro in Sardegna. «Come in una grande gelata»: questa è l’espressione che Pulina usa per dire in che condizioni lavora un dipendente pubblico, come lui è, nelle zone più interne, isolate e spopolate. «Un deserto sociale – dice – dove tutti i giorni facciamo i conti con un’ illegalità diffusa. Un’illegalità che comprende tutta la gamma dei reati che sono stati analizzati nella ricerca di cui oggi parliamo: dal danneggiamento sino all’intimidazione violenta che ti brucia l’auto parcheggiata sotto casa o ti fa saltare il portone con la dinamite». Le slide con i numeri sono fredde; la «grande gelata» di Pulina, a dispetto del senso letterale della metafora, racconta e spiega ciò che accade con l’evidenza “calda” della testimonianza personale.

I grafici, elaborati per numero di reati rapportato al numero di abitanti nel secondo semestre del 2015 e nel primo del 2016, dicono che sono in crescita gli omicidi, gli attentati, le rapine e anche i sequestri di piantagioni dove si coltiva la canapa indiana. Dappertutto nell’isola, ma soprattutto in una zona che dalla Barbagia si dirama a ovest sino al Marghine, a sud est verso l’Ogliastra e a nord est verso Siniscola e San Teodoro. Se poi dal numero di reati per abitanti si passa alla classifica criminale redatta in valori assoluti, sono Olbia e Cagliari a balzare ai primi posti.

Ai numeri è seguita, ieri nell’aula magna dell’Università, una tavola rotonda con voci diverse. Marzio Barbagli, sociologo, ordinario a Bologna, tra i massimi esperti italiani di fenomeni criminali, butta acqua sul fuoco: «Siete tra le regioni più tranquille d’Italia: omicidi e rapine sono molto più numerosi nel resto del Paese. Ci sono gli attentati, che però crescono solo negli ultimi cinque anni, dopo un lungo periodo di calo costante». Il giurista Giovanni Meloni richiama i dati contenuti nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia che parlano di una «presenza pervasiva» della criminalità organizzata nell’isola. Il magistrato Gianni Caria rimette la discussione sul terreno delle evidenze di fatto che emergono dalle indagini, che non consentono alcuna forma di generalizzazione nell’individuare le cause dei reati messi sotto il microscopio dai ricercatori dell’ateneo sassarese. Umberto Oppus, direttore per la Sardegna dell’Associazione dei Comuni italiani (Anci) fa un richiamo forte alla recente impennata delle intimidazioni violente contro sindaci e assessori e chiede più impegno da parte dello Stato nella prevenzione e nelle attività di investigazione, ricordando che più del 90 per cento degli attentati restano senza un colpevole accertato. Daniele Pulino, autore insieme con Antonietta Mazzette di un libro pubblicato questa estate dalla Cuec che si intitolata “Gli attentati in Sardegna: scena e retroscena della violenza”, spiega come dai dati risulti chiaro che la criminalità in Sardegna cambia volto anche sotto l’aspetto organizzativo, con il comparire di bande strutturate dedite alle rapine e al traffico di stupefacenti. La Mazzette, coordinatrice dell’Osservatorio sulla criminalità dell’Università di Sassari, ricorda che nel volume scritto con Pulino oltre ai soggetti principali dei reati di intimidazione violenta – le vittime e i criminali – viene dato spazio al terzo lato del triangolo: la comunità. E questo è un elemento essenziale in una regione in cui la complicata transizione alla modernità ha visto convivere a lungo due forme differenti di legalità: quella statuale e quella tradizionale. Una «grande gelata» che non si è ancora sciolta.

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