La Nuova Sardegna

«Nel labirinto della violenza di genere»

di Daniela Paba

Edoardo Albinati, autore del romanzo Premio Strega “La scuola cattolica”, ospite ieri a Cagliari del festival “Pazza idea”

27 novembre 2016
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CAGLIARI. Mentre in tutto il mondo sfilano cortei per dire basta alla violenza sulle donne, Edoardo Albinati, vincitore dello Strega con “La scuola cattolica”, ieri è intervenuto interviene al Ghetto, ospite del festival “ Pazza idea”, sul tema “Nascere maschi è una malattia incurabile. Storia di un paese senza anticorpi”. Il libro, da cui è tratto il titolo dell’incontro, ricostruisce la formazione degli assassini del Circeo, un caso clamoroso di stupro e omicidio che coinvolse ragazzi della Roma bene negli anni ’70, alcuni dei quali compagni di scuola di Albinati.

«Racconto – spiega lo scrittore alla “Nuova Sardegna” – come sono cresciuto in una scuola nella quale, oltre a me e a tanti altri ragazzi, c’erano quelli che si resero responsabili del cosiddetto “delitto del Circeo”. Fatto che è tornato a galla, nella mia vita, quando nel 2005 Izzo, in semilibertà, ha ucciso altre due donne, mi ha costretto a tornare indietro e ridiscutere di quella mentalità, quelle vicende, tutto quello che potrebbe essere stato in comune tra noi e gli stupratori, cercando di vedere le somiglianze, non le ovvie differenze».

Davvero pensa che nascere maschi sia una malattia incurabile?

«Questa frase, isolata dal contesto nel quale è inserita, ha avuto fortuna ed è stata oggetto di critiche. Intendo per inguaribile quell'atteggiamento per cui la natura maschile si rifiuta di prendere in considerazione la propria debolezza costitutiva che non è inferiore a quella femminile o di qualsiasi altro essere vivente. Cioè il fatto di essere non all'altezza dell’immagine cui dovrebbe corrispondere la virilità. Questo non venire a patti con la propria fragilità, il proprio sentimentalismo, il proprio desiderio di tenerezza, quando viene rinnegato, rifiutato o mascherato può trasformarsi in aggressività. Pur di recuperare i punti perduti di un ideale maschilismo ci si inietta dosi di aggressività che portano alcuni a commettere crimini. Dunque è inguaribile finché non ci si vaccini con la contaminazione col proprio femminile, un’accettazione dei propri limiti, la fine del modello maschile identificato con l’idea di forza».

Dal delitto del Circeo a oggi, l’Italia non ha prodotto anticorpi?

«Se ragioniamo su scala planetaria l’Italia è molto meglio di altre zone del mondo, dove la condizione femminile è ben peggiore. Detto ciò siamo indietro sulla consapevolezza del proprio coinvolgimento con gli aspetti più sgradevoli o pericolosi o addirittura criminali dell’identità maschile. Esattamente come si ripete che gli italiani non sono razzisti, allo stesso modo si ripete che non sono sessisti, che amano le donne, che questo è il Paese della mamma. E siccome c’è una presenza femminile costante nella vita di ognuno, pensiamo di aver risolto, non tanto il problema dell’aggressività dell’uomo verso la donna, quanto quello della fragilità maschile, che fa presto a cambiare di segno. Soltanto riconoscendola potrebbe avvenire un processo di trasformazione. Questo però è un Paese dove tutto viene circonfuso di nebbia, dove i problemi li si prende sempre di sbieco».

Quanto pesa la tradizione patriarcale, o anche matriarcale...

«Il sistema è duplice. C’è il maternage, ci sono luoghi della vita che sono quasi esclusivo appannaggio femminile, e la scuola ne è un esempio clamoroso, dall’asilo alla maggiore età. Dall’altra parte c’è un autoritarismo maschile che fa sì che questo non sia né un Paese per giovani, né un Paese per donne. Si è divaricata ancor più la divisione di compiti: al potere badano gli uomini e all’educazione le donne».

Sarebbe utile un lavoro sulle emozioni?

«Non penso sia un problema pedagogico. Lo dico senza nessun ritegno: è quasi esclusivamente un problema maschile. Ancora qui si tende a pensare che uomo e maschio siano la stessa cosa».

Il suo entrare nella mente degli stupratori del Circeo è stato sofferto?

«Non è stato facile, ma soprattutto è difficile uscirne. Soffro ancora i postumi di questa immersione, che non è nella psiche degli stupratori in quanto tali, ma piuttosto nella malattia maschile in quanto tale. Il libro è uscito da otto mesi e io ancora non ne sono riemerso».

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