La Nuova Sardegna

Storia della lingua dei sardi, polifonia aperta al mondo

di Paolo Maninchedda
Storia della lingua dei sardi, polifonia aperta al mondo

Paolo Maninchedda su “Gli scritti di linguistica” di Giovanni Lupinu: il segno di una svolta

26 novembre 2016
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PAOLO MANINCHEDDA. Il volume di Giovanni Lupinu raccoglie alcuni scritti (...) composti fra il 2010 e il 2014, che vertono su tematiche di linguistica e filologia del sardo medievale. (...)

Nel primo contributo l’autore offre agli studiosi la nuova edizione del Condaghe di Barisone II (tardo XII sec.), approntata per l’inclusione del documento nella banca dati informatizzata dell’Archivio testuale della lingua sarda delle origini). (...) Nel lavoro che segue Lupinu traccia il perimetro della prima edizione critica della Carta de Logu dell’Arborea (...) mentre nel terzo saggio ragiona sull’etimo di maquicia, «reato punito con sanzione pecuniaria», «pena in denaro dovuta all’amministrazione statale per una condotta illecita», termine giuridico assai caratteristico del basso Medioevo sardo, valorizzando l’ipotesi di un imprestito dall’italiano antico. Nel quarto contributo Lupinu indaga i modi della progressiva penetrazione dell’italianismo ragione nel lessico sardo medievale del diritto, problematizzando in parallelo, per via linguistica, la questione dell’inserimento della nostra isola nel sistema del diritto comune.

LA CARTA DE LOGU. Nel quinto lavoro l’autore affronta con nuovi elementi, alla luce di spunti offerti dalla lettura del Breve di Villa di Chiesa, il tema del contatto linguistico sardo-pisano nel Medioevo. (...) Nel sesto scritto è risolto in modo soddisfacente il problema etimologico relativo al vocabolo derredali (questa la forma in cui esso compare nell'incunabolo della Carta de Logu), indicante un'unità di misura per liquidi e – ora si può dire con certezza – giunto dalla Toscana (...) Nel settimo contributo, prendendo le mosse da una voce dubbia della Carta de Logu, Lupinu sviluppa alcune riflessioni metodologiche sulle cautele da utilizzare nell’esame delle parole di isolata attestazione presenti nei documenti medievali isolani. (...) Nell’ottavo lavoro, infine, sono poste le premesse per l'edizione critica delle Questioni giuridiche integrative della Carta de Logu, testo quattrocentesco di straordinario interesse che documenta, come scrive l’autore, «l'avvenuto innesto di istituti giuridici tipicamente sardi nella compagine del diritto comune».

CONTATTI LINGUISTICI. Già da questo resoconto sommario dei contenuti dell’opera è possibile farsi un’idea di alcune linee metodologiche e argomentative che la attraversano e ne costituiscono come una chiave di lettura: provando a esprimerle in breve, fra le prime risalta una prassi che fonde l'analisi storico-linguistica e il lavoro filologico in modo naturale, senza cesure o preminenze; fra le seconde, emerge il tema del contatto linguistico nel Medioevo, in particolare fra sardo e italiano antico, con tutte le implicazioni più ampiamente storiche e culturali che questo comporta. (...)

PERIFERIA DIVERSA Guardando ai vari orientamenti che caratterizzano oggi le ricerche nel campo della linguistica sarda, con speciale riferimento ai temi toccati dal lavoro di Lupinu, si ha la percezione di una sorta di polarizzazione dei presupposti, più ideologici che metodologici, delle indagini passate e presenti: da un lato chi, partendo dalla realtà delle cose e dall’auctoritas indiscutibile e indiscussa di alcuni studiosi, vede nel sardo un grande scrigno di conservazione del mondo latino e prelatino in una forma scomparsa altrove e predilige il campo ricostruttivo della linguistica storica applicata alle emergenze della dialettologia, e dall’altro chi è più interessato alle stratificazioni, al contatto linguistico, alle tante fasi di apertura e di commistione che la Sardegna ha promosso e subìto, privilegiando l’attività filologica di edizione dei testi che rivelano questo universo composito, mischiato e a volte confuso, che però è stato ed è parte rilevante della storia linguistica e culturale della Sardegna. Da un lato c’è l'Europa che ha a suo tempo scoperto una periferia “diversa” e più arcaica del suo milieu medio; dall’altro il costante contatto che questa periferia ha avuto con l’Europa e la sua cultura, fungendo da luogo di mediazione e di incontro tra l’universo mediterraneo e quello continentale.

ROTTA MUTATA. Collocarsi in questo grande campo della ricerca linguistica, filologica e culturale, in modo solidamente ancorato alle emergenze documentarie e letterarie, significa prestare particolare attenzione alle traduzioni e alle fonti più esposte al contatto linguistico: si pensi alla Carta de Logu, edita da Lupinu, con la sua ricchezza di italianismi, o ai significativi approfondimenti dati sempre da Lupinu in margine all’edizione del Breve di Villa di Chiesa della Ravani e da altri su testi esplicitamente collocati sulla frontiera del contatto linguistico. Nel corso degli anni il lavoro critico, filologico e culturale ha dunque mutato la sua rotta: da indagine quasi di scavo minerario per far rifulgere le gemme dell’antichità e dell’arcaicità, tutto fondato su censimenti dialettologici e su raffinate capacità ricostruttive, si è passati a illuminare la bellezza della stratificazione nella sincronia, colta nella tradizione documentaria ai diversi livelli cronologici della storia. La Sardegna monodica è divenuta polifonica, come è sempre stata e come sono tutte le società, tutti i linguaggi e tutte le culture a patto che nessuno coarti la normale espressione della curiosità e della libertà umane.

MODERNITÀ DI FERRO. Il lavoro di Lupinu, a mio parere, ha il merito di affrontare momenti di diastole, per così dire, nella storia della lingua sarda: l’esame attento dei documenti medievali, non di rado ricontrollati e confrontati con altri dello stesso orizzonte cronologico provenienti dalla Penisola, suggerisce all’autore percorsi che mostrano più spesso aperture che chiusure nel basso Medioevo sardo. Mi rendo conto, naturalmente, che sono temi che meriterebbero un maggiore approfondimento, ma forse è opportuno sin d’ora registrare questo aggiornamento degli studi, fedele quanto il precedente al rigore metodologico, ma meno ideologicamente condizionato dal pregiudizio dell’isolamento o dalla passione antimoderna per l’arcaico, la modernità che tra le due guerre meritava di essere guardata con sospetto perché era una modernità “di ferro”, di conflitto.

Che questo stia avvenendo soprattutto per merito di studiosi sardi giovani, poliglotti, culturalmente euro-mediterranei, è il segno di una nuova stagione di apertura e, speriamo, di felicità di questa isola.

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