La Nuova Sardegna

“Futuro interiore”, come uscire dal tunnel Il nuovo saggio di Michela Murgia

di Costantino Cossu
“Futuro interiore”, come uscire dal tunnel Il nuovo saggio di Michela Murgia

Una partita in tre mosse per affrontare altrettante questioni che segnano come stimmate il travagliato passaggio d’epoca nel quale ci troviamo: l’identità come punto prospettico imprescindibile di...

30 settembre 2016
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Una partita in tre mosse per affrontare altrettante questioni che segnano come stimmate il travagliato passaggio d’epoca nel quale ci troviamo: l’identità come punto prospettico imprescindibile di ogni orizzonte individuale ma anche collettivo; il rapporto tra bellezza e democrazia; il potere nelle sue connotazioni passate e presenti (coercitive) e nelle sue possibili declinazioni future (emancipatorie).

Questa la trama essenziale del libro di Michela Murgia “Futuro interiore”, che Einaudi pubblica nella collana Le Vele (84 pagine, 12,00 euro). Il saggio è presentato dall’autrice nell’introduzione come una sollecitazione rivolta alla propria generazione (quella che naviga tra i quaranta e i cinquanta) a uscire dal limbo della terra di mezzo – tra padri baby boomers e figli millenials – in cui è stata costretta e a farsi carico della responsabilità di un possibile e cruciale compito storico. Ma nei tre capitoli successivi (“Cittadini di un mondo scelto”, “Abitare la democrazia”, “Capitani coraggiosi”) l’analisi supera subito il recinto generazionale e diventa disamina di alcune delle principali tendenze delle società contemporanee.

Si parte dal concetto controverso di identità. Legato al sangue nelle società tradizionali e al suolo in quelle moderne. Ius sanguinis e ius soli dai quali oggi si riesce al massimo a compiere il passo verso uno ius culturae che, al più, sposta le regole del gioco da fattori biologici e geopolitici a fattori simbolici, lasciando intatta la dissimmetria tra dominatori e dominati. Ciò che serve, secondo Michela Murgia, è invece uno scarto pieno di libertà, che consenta a chiunque di scegliere la propria appartenenza. Uno ius voluntatis che vale sia per i migranti, che devono spendere il proprio futuro in contesti nuovi in cui convivono identità differenti, sia per le appartenenze di lingua e di cultura che hanno saputo resistere ai processi storici attraverso i quali sono nati gli Stati nazione.

Secondo passo: bellezza e democrazia. Più esattamente: strutture urbanistiche e democrazia. Per Michela Murgia «abitare la democrazia» significa superare un modello che tende a riprodurre, nel corpo vivo delle città, disuguaglianze, marginalità e dominio. No allora alle periferie ghetto, e sì invece a «progetti polisemantici» rispettosi della «necessaria tensione democratica tra ordine e disordine». Tra i quali Michela Murgia porta ad esempio l’Istituto del mondo arabo a Parigi e la biblioteca Salaborsa a Bologna.

Ultimo passo, il potere. Contro la verticalizzazione gerarchica del potere che innerva – ancora una volta – sia le società tradizionali sia la modernità, Michela Murgia propone una «via femminile al potere»: «Se la storia – scrive – fosse insegnata a scuola anche dalla parte dei vinti, apparirebbe evidente che mentre gli uomini facevano scale dove giocarsi la guerra gerarchica che ispirava ai cantori le epiche, le donne facevano reti per sopravvivere insieme dove ciascuna da sola sarebbe morta». Ecco allora la strada per «essere potenti insieme e non uno contro l’altro»: reti collaborative orizzontali, processi partecipativi diffusi, gruppi creativi non gerarchizzati rivolti all’innovazione in tutti i settori.

Facile concordare con le tesi di Michela Murgia su tutti e tre i terreni d’analisi che il libro esplora e sul richiamo all’impegno e alla responsabilità che l’autrice sollecita innanzitutto alla sua generazione (spesso paralizzata dalla convinzione che vivere sia apparire: il terrore sparire dalle tv, dai giornali, dalle classifiche). In “Futuro interiore”, però, l’analisi resta, per così dire, su un livello di seconda istanza. I moventi che guidano le dinamiche di potere nelle società contemporanee riguardano soltanto in maniera derivata identità, appartenenza di genere, bellezza e modalità di partecipazione dei cittadini alle procedure delle democrazie. In prima istanza quei moventi riguardano un modo di produzione che informa di sé ogni aspetto della vita sociale e, oggi, persino della vita tout court, della vita nella sua non più intangibile dimensione biologica (che si tratti soltanto di esseri umani o dell’intera biosfera). Se si vuole davvero guardare al futuro, questo passo successivo va fatto, perché i problemi hanno radici più profonde.

Ed è perciò che consigliamo ai lettori del libro di Michela Murgia di integrare la lettura di “Futuro interiore” con quella del volume che precede il testo dell’autrice nell’elenco di uscite della collana einaudiana Le Vele: “Il nostro male viene da più lontano” (68 pagine 12,00 euro), di Alain Badiou. Tra i maggiori filosofi europei, classe 1937 e quindi per anagrafe lontanissimo dalla generazione alla quale si rivolge Michela Murgia, Badiou è un irriducibile gauchiste. Leggere i due libri, “Futuro interiore” e “Il nostro male viene da più lontano”, servirà ad affiancare alla dimensione identitaria, di genere e partecipativa in cui si muove la scrittrice di Cabras con la dimensione di classe (la storia contemporanea resta segnata – sia pure in forme nuove che esigono risposte nuove – da un dislivello di potere primario che nasce sul piano dei rapporti di produzione) che è invece propria del vecchio professore all’École Normale Supérieure di Parigi. Due dimensioni che non sono affatto inconciliabili. Dovrebbero dialogare tra loro molto più di quanto oggi accada. Entrambe ne avrebbero da guadagnare.

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