La Nuova Sardegna

Salvatore Settis: «Una politica miope che vuole snaturare la Costituzione»

di Daniela Paba
Salvatore Settis: «Una politica miope che vuole snaturare la Costituzione»

L’accademico dei Lincei schierato per il “no” al referendum

26 settembre 2016
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VILLACIDRO. Davanti alla scrivania di Giuseppe Dessì, Salvatore Settis, archeologo, storico dell’arte e accademico dei Lincei, riflette sul rapporto uomo-ambiente, su quello tra modernità e sviluppo e sui diritti. La giuria del Premio Dessì gli ha consegnato il premio speciale dell’edizione 2016 per «il suo invito al coinvolgimento dei cittadini per il bene comune e l’interesse per le città a rischio. Per la sua voce che, con una fermezza non scevra di ironia e integrità, è capace di guardare lontano, su ogni questione che metta in gioco, insieme all'interesse del paese, libertà e giustizia. Ma anche per la sua strenua difesa del paesaggio artistico e naturale».

Non è insolito un archeologo che invita a pensare il futuro?

«Se ci si concentrasse soltanto sul passato non varrebbe la pena studiare archeologia. Una disciplina che invece insegna a pensare uomini come noi, ma simili a chi vivrà tra cento anni. Nel mondo che ci circonda, nella lingua che parliamo, nei monumenti, nelle opere d’arte, bisogna saper cogliere la durata. Michelangelo pensava certamente il suo tempo, però dopo cinquecento anni noi guardiamo ancora i suoi dipinti. Purtroppo oggi chi fa politica per mestiere sta perdendo la capacità di lungimiranza. Piero Calamandrei diceva che la Costituzione doveva essere presbite, doveva essere capace di guardare lontano».

Nel suo invito a riconoscere dignità alla natura, a scrivere i diritti degli alberi e dell’ambiente, come fanno in Equador e Bolivia, pensa che loro abbiano una consapevolezza antica che abbiamo perso?

«Confrontarsi con gli altri esseri umani è il primo passo. Nei paesi dell’America latina che si stanno aprendo, con mille problemi, alla democrazia, in Ecuador, Bolivia ma anche il Brasile, hanno, nelle loro recenti Costituzioni, delle ipotesi – perché le Costituzioni non si applicano in cinque minuti – sul futuro e sul rapporto con la natura da cui possiamo imparare. Ipotesi che dipendono da un concetto di “bene comune” affermato molto chiaramente, che deriva dal diritto romano. Cerchiamo di ragionare come membri di una grande comunità umana e di vedere se nozioni che stanno usando in altri luoghi del pianeta possono essere utili anche a noi. L’azione popolare, citata espressamente nella costituzione brasiliana, non è una formula qualsiasi: era il diritto di qualsiasi cittadino romano di agire contro lo Stato per il bene dello Stato. L’idea di considerare che viviamo non in un ambiente neutro ma in una comunità di vita in cui i diritti degli umani, quelli delle piante e degli animali stanno tutti insieme ci dà un orizzonte di cose che possiamo fare o non fare. Sono convinto che questo modo di pensare abbia un grande futuro».

Il paesaggio italiano nella modernità. Quale ruolo svolge l’archeologo quando bisogna intervenire con infrastrutture, modifiche e messa in sicurezza del territorio?

«In Italia ci sono tante mitologie: quelli che difendono il paesaggio e quelli che vorrebbero cementificare tutto. Un’opposizione che in realtà non esiste. C’è chi dà la priorità al cosiddetto sviluppo a tutti i costi: costruire la TAV anche quando è dimostrato che non serve, aggiungere un’autostrada parallela a quella che già c’è, anche se il traffico non lo giustifica. Nessuna persona di buon senso pensa che il paesaggio non si tocca, il paesaggio cambia, gli alberi nascono e muoiono. Bisogna intendersi sulle regole. Le buone regole, alla base della Costituzione, dicono che ogni volta che sorge un problema nel quale l’interesse economico del singolo confligge con l’interesse della comunità quest’ultima ha la priorità. L’Italia è il paese con l’incremento demografico più basso in Europa e il tasso di consumo del suolo più alto: c’è qualcosa di storto. L’archeologia è la voce del tempo e dello spazio colti in mutua relazione. In qualsiasi scavo posso trovare reperti che ci dicono come altri uomini hanno vissuto in quel territorio. Vuol dire che non posso costruire dove trovo un coccio? No, vuol dire che devo pensare prima di farlo. L’archeologia serve a riflettere su quello che facciamo, non basta dire: “C’è già l’appalto, si deve fare”».

La Sardegna e il meridione scontano un pesante ritardo su collegamenti e infrastrutture. È possibile agire una politica del territorio conciliando l’economia agro-pastorale, il turismo e la tutela del paesaggio?

« Il problema riguarda tutta l’Italia. Il Veneto è devastato da 7000 capannoni industriali, costruiti perché c’erano vantaggi fiscali e ora rimasti vuoti. Non era meglio fare un vigneto? Si viene in Sardegna per trovare qualcosa di diverso da quello che si conosce già. L’idea che il turismo abbia bisogno di yacht, aerei privati, ristoranti uguali a Oristano o a Singapore è stupida, volgare, sbagliata. Ci vogliono infrastrutture ma ogni intervento va calibrato fino al punto in cui non si distrugge un orizzonte ecologico di paesaggio, civiltà, bellezza e cultura che rende possibile a chi abita un luogo di essere fiero di starci e in cui Cagliari deve essere diversa da Singapore».

Ha firmato il manifesto per il No al referendum. Quali punti della riforma non condivide? 

«Il mio ultimo libro, “Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla” (Einaudi), è dedicato a questo. Per prima cosa contesto l’estensione dell’intervento di riscrittura della Carta: in 70 anni sono stati cambiati 43 articoli; ora ne vogliono cambiare 47 in un giorno solo. Secondo: ci raccontano la fine del bicameralismo, ma l’unico cambiamento è che il Senato non lo eleggiamo più noi. Non dicono che un numero straordinario di leggi avrà lo stesso iter bicamerale, più complicato. Aggiungo che, mentre nel 1946, un apposito ministero della Costituente tenuto da diffuse milioni di opuscoli spiegando tutto alla radio e sui giornali, ora l’informazione è minima. Si tratta di una riforma confusa, affrettata, scritta coi piedi. Vuol dire che non bisogna cambiare la Costituzione? No, è che non si cambia in questo modo. E allora perché non si fa nulla per applicare l’articolo 4 sul lavoro o l’articolo 9 che tutela il paesaggio? È una riforma strumentale e miope. Non presbite come dovrebbe essere».

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