La Nuova Sardegna

Antonio Marras, una festa africana per abbattere i confini

Angiola Bellu
Antonio Marras, una festa africana per abbattere i confini

Alla Settimana della moda primavera-estate 2017 per la prima volta lo stilista algherese fa sfilare assieme la collezione femminile e quella maschile

25 settembre 2016
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MILANO. Nell’ultimo week end della Settimana della moda primavera estate 2017, in passerella ci sono le attesissime creazioni di Antonio Marras. Per la prima volta lo stilista decide di far sfilare insieme le collezioni maschile e femminile, a cui sono solitamente dedicati tempi e spazi separati. «Perché oggi – ci racconta l’artista che attraverso il suo lavoro riesce a dedicare, come nessun altro tra i big del fashion, una riflessione sui drammi dei nostri tempi – più che mai ho pensato che in questa stagione fosse una grande opportunità far sfilare insieme uomo e donna, soprattutto vestiti con gli stessi materiali, quindi per comunicare e creare un unico universo, un unico progetto».

Antonio Marras questa volta porta il Mali in passerella, o meglio un Mali che oggi non esiste più: quello degli anni Cinquanta e Sessanta, fresco di conquistata indipendenza, visto dall’obiettivo di un grande fotografo come è stato Malick Sidibè, artista maliano recentemente scomparso e universalmente noto per aver ritratto la cultura giovanile e le serate danzanti della Bamako di allora, non certo alle prese con oscurantismi e fondamentalismi. «Sono partito – spiega Marras – dalle immagini dell’Africa di Malick, che ritraeva coppie di giovani africani che andavano a ballare il twist nelle sale da ballo della capitale, dopo aver preparato grandi acconciature. Ballavano e vestivano all’occidentale». Lo stilista non smette mai di cercare attraverso la leggerezza della moda, del suo linguaggio effimero, un messaggio che unisca diverse forme d’arte e che parli di ponti culturali, di abbattimento di confini. Lo fa nel momento in cui tornano ferocemente attuali i muri contro gli essere umani, le divisioni. «Mi sembrava giusto far dialogare diverse discipline – dice Marras – quindi in questo caso la danza e la fotografia con la moda. Soprattutto per raccontare che sia la musica sia la moda possono essere elementi utili per abbattere i confini».

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In passerella sfilano così abiti ampi patchwork, lunghi o corti, stretti in vita, luminosi, eterei. Gonne a spicchi e corpini aderenti. Il sangallo bianco si alterna al lino laccato o mal tinto. Non manca il pizzo, il jeans devoré, il fil coupé e le trasparenze, le stratificazioni, gli intrecci. Uomini e donne indossano i medesimi tessuti. Le righe si alternano a stampe floreali. I pantaloni bianchi e neri o sull’azzurro, verde palude, fango, vermiglio... Una moda che sintetizza la visione del mondo di Marras: «Porto in passerella una mia visione dell’Africa e del mondo. Africa, Europa, America... parlo di un universo globale e di qualcosa che vorrei definire ibridismo vestimentario; mi interessa la commistione, la fusione, l’incastro, la sovrapposizione di elementi che arrivano dalle differenti parti del mondo per ricreare un nuovo linguaggio, un nuovo modo di comunicare».

Un’Africa diversa da quella che vediamo oggi sui media. «È il racconto di un’Africa – dice Marras – un po’ più discreta, più personale, con i toni del sabbia, del deserto, della penombra con piccoli accenni di colore». Senza mai nominare il clima di guerra che si respira in gran parte del Continente nero, Marras racconta la sua Africa globale di un tempo non così remoto, in cui «la musica e gli abiti facevano sì che i confini fossero abbattuti».

E la Sardegna? «Nasco in un luogo dove sono arrivati tutti. Sono il frutto di una stratificazione di culture. La mia collezione è Africa, ma ci potresti vedere le signorine di Osilo che andavano a ballare».

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