La Nuova Sardegna

Ervas, un innocente da sacrificare

di LUCIANO MARROCU

Il balordo che lo incastra confessa di aver fatto il suo nome solo per uscire da una brutta situazione

25 agosto 2016
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di LUCIANO MARROCU

Il bar Colombia era l'unico bar di Roma che negli ultimi anni non avesse subito un restyling sul modello Harris' Bar. L'unico ad avere ancora il flipper e che, invece della solita barista cubana, esibiva dietro il bancone un sessantenne dall'aria depressa. In una sala che si apriva alle spalle del bancone, dei ragazzi giocavano a biliardo: uno di loro era disteso sul panno verde con la stecca in mano.

Domizi si sporse verso i giocatori: «A riga', nun ce provate, a biliardo ce vole er quid e voi er quid nun ce l'avete ».

«Tu invece er quid ce l'hai, Domizi: er quid de annare affanculo». Seguì la risata d'ordinanza.

«Mi sa che è meglio che ci sediamo in saletta» disse Domizi, indicando la porta di una stanza sul retro. Poi rivolto al barista: «Gigé, portaci tre Aperol».

«Torqua', guarda che in saletta ci sta il Ragioniere» avvertì il barista.

«E che cazzo ci sta a fa'?»

«Fa le prove.»

«Le prove de' che?»

«Le prove de' baro: stasera c'ha la sfida a Scala Quaranta coi tre dell'Ave Maria.»

«A me de' baro non mi c'ha mai trattato nessuno» si udì da dentro la stanza.

«A Ragioniè» intervenne Domizi. «Hai iniziato a smammare? Completa l'operazione.»

Sedemmo in tre intorno a un tavolino. Gli Aperol ar-ivarono in un attimo.

«Lo so il motivo per cui siete qui» esordì Domizi.

Soddu ci sguazzava in questa atmosfera. Riti, linguaggi, l'estetica stessa del criminale e del subcriminale disegnavano ai suoi occhi i colori squillanti di una società alternativa al grigiore del dominio capitalistico. Soddu era pronto ad assistere al tracollo della sussiegosa civiltà borghese e alla sua sostituzione con un mondo dominato da fiammeggianti valori criminal-rivoluzionari. Questo, naturalmente, a patto che della civiltà borghese morente si salvassero Thomas Mann, T.S.Eliot, Wittgenstein e altri della stessa cricca, dimenticando che, a parte qualche episodico malumore, in quella civiltà, i suddetti si erano trovati perfettamente a loro agio.

Quanto a me vivevo, come spesso mi accade, in una sorta di limbo, senza riuscire a calarmi in quella realtà e neppure essendo capace, come invece faceva Soddu, di coglierne i valori simbolici. Insomma, la figura di Torquato Domizi non aveva per me né evidenza realistica né chiarezza simbolica.

«Lo sai cosa ho capito di te Sirigu? Che sei un uomo del tutto privo di fantasia. L'ho capito seguendo le tue grigissime lezioni» mi disse a un certo punto.

E' questa una cosa che mi rinfacciano tutti, una mia tetragona adesione al principio di realtà. Al contrario, privo di riferimenti universali, sono soggetto all'imperversare di opinioni contrastanti, un vortice che mi confonde e che mi fa dubitare di me stesso e dello stesso principio di realtà.

Ora sì che lo ricordavo Domizi. Qualche anno prima aveva seguito il mio corso su Popper. Sedeva sempre in prima fila e aveva la fastidiosa abitudine di interrompermi con domande stupide e dandomi del tu. Presuntuoso e incompetente come gran parte degli studenti.

A un certo punto Domizi tirò fuori l'idea che sapeva lui come far fruttare i nostri risparmi. Gli dissi che non ero interessato.

«E io invece sono interessato» intervenne Soddu.

«Le dico solo questo, professò. Non posso fare nomi, ovviamente. Le dico solo che ci sono praticamente tutti i giocatori della Lazio nel sistema.»

«Si tratta di un fondo d'investimento?» chiese Soddu .

«Tecnicamente no, che in banca i soldi ce vanno manco per finta. Fidatissima, la persona che organizza il giro, più sicura delle banche, anche perché se sgarra…al fondo, chiamiamolo così, ha aderito gente importante, gente che non scherza, che se i soldi non tornano indietro alla data giusta e nella quantità giusta te ficcano la canna di una pistola dentro ar culo, poi contano sino a tre e se non dici la cosa giusta premono il grilletto.»

«Non ti sapevo attivo nella finanza, Domizi. Ti credevo in un ramo un po' diverso…» intervenni io.

«La finanza è una specie di hobby; di più: una passione. Da una parte c'è il tuo lavoro, la distribuzione di qualche scampolo di felicità, facile, sicuro, regolare. Ma i brividi vengono da quell'altra cosa. Tipo Kafka: la mattina l'impieguccio nelle Assicurazioni, la sera a scrive' de' mostri. Forte Kafka…l'ha letto professò Le Metamorfosi?»

«Certo che l'ho letto» rispose Soddu.

«Forte …trremendo che tu te svegli la mattina e scopri che non sei tu ma sei un altro, sei un ragnone a cento zampe.»

«Domizi, non hai capito…non è che ti svegli e sei un altro, è che ti svegli e per la prima volta ti vedi esattamente come sei. E poi non era un ragnone, semmai uno scarafaggio» dissi.

zGlielo spieghi lei, professor Soddu, "intervenne Domizi, «lei che c'ha la saggezza indiana, glielo spieghi lei a Sirigu che non deve rompe' er cazzo. Diecimila oggi, diventeranno quindicimila tra un mese, professò.»

«Il problema è uno solo: il contante» disse Soddu.

«Beh, se il problema è il contante, allora è un problema che non si risolve.»

Il tono di Domizi era ora quasi di fastidio, come se avesse fretta. «Allora» continuò «si può sapere il motivo per cui il qui presente Domizi Torquato deve stare a sentire sti' due professoroni? Un professorone e mezzo, diciamo.»

«Hai parlato con Ruozzi» gli dissi «e lo sai benissimo che cosa vogliamo. O no?»

«Se ho capito bene, è una ritrattazione quello che volete da me. Ma io non ritratto, se non mi conviene. E poi la verità è la verità.»

«Visto che ci sei, raccontala a noi la verità: quella vera, però.»

«Qualcosa gli dovevo dire per tirarmi fuori e qualcosa gli ho detto. Ma a me non piace rovinare i poveracci e quell'Ervas là è un poveraccio. Io mica ci credo che è stato lui ad ammazzare Caruso: non per niente, ma Ervas non mi pare il tipo capace di ammazzare. Tu, Sirigu, di questo dovresti parlare, in quelle tue lezioni del cazzo, invece che parlare di Popper, o sparar cazzate su Platone totalitario, che mi pare che tu di Platone ci hai capito poco…dovresti parlare dell'esistenza vera -linea Heidegger-Sarte, per capirci- di come è difficile ammazzare la gente e di come quelli che comandano, comandano proprio perché quando devono ammazzare ammazzano e basta.»

10. . CONTINUA

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