La Nuova Sardegna

«La mia vita migrante da Jerzu al Campiello»

di Giacomo Mameli
«La mia vita migrante da Jerzu al Campiello»

Intervista con lo scrittore Némus, in tour in Sardegna

31 luglio 2016
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di Giacomo Mameli

JERZU

Prima il Campiello spiazzando critici, editori e giornalisti. Poi, sbaragliando i più accreditati, raddoppia col Bancarella. Sta per ripartire in Abruzzo, ai piedi della Maiella, dove (con Marco Peano e Simona Carbarini) è tra i finalisti del Festival John Fante, l'italo-americano che fa trio con Steinbeck ed Hemingway. Da un successo all'altro, per un autore detto Gesuino Némus («con l'accento acuto sulla e, mi raccomando») ma che per molti è Matteo Locci anche se all’anagrafe del Comune di Jerzu dove 58 anni fa è nato (acropoli di Cuccureddu) è registrato Marcello, così lo chiamano gli amici. Qui, nella piana di Pelau che è il Chianti ogliastrino vista mare, Némus detto Gesuino («c'è del mistico in me, sono stato seminarista»), autore per Elliot di «La teologia del cinghiale» e di «I bambini sardi non piangono mai», è tornato per riabbracciare mamma Anna «nel casolare costruito nel 1888 da mia bisnonna Elvira Corona morta centenaria nel 1998».

. VIGNA E CASOLARE. Casa campestre sotto una collina carica di storia chiamata “Sa costa ’e is pagànus” dove – centinaia di anni fa come i migranti di oggi – hanno messo radici orientali e palestinesi alla ricerca di una terra promessa. Némus, che nel sardo-latino vuol dire nessuno, veste pantaloncini color mosto e camicia bianca, non si stacca da un panama di raffia gialla nastrato di marron («regalato da un cappellaio di Ravenna»), guarda i grappoli verdastri che soffrono per la prolungata siccità, ammira il rosso dei pomodori dell'orto. In poche battute racconta di sé, della sua «inaspettata notorietà» per essere un Ulisse transumante d’Ogliastra che ha mosso i primi passi sotto il Partenone di Monte Corongiu .

SARDI E CINGHIALI. Dice: «Ho consegnato il manoscritto del cinghiale il 12 febbraio 2015, contiene dieci milioni di caratteri. Dopo sei giorni la direttrice editoriale della Elliot – Loretta Santini – viene da me e mi ritrovo col contratto fra le mani. Chiamo mamma e mi dice, con una dolcezza celestiale: “Sono contenta per te figlio mio”. Il libro – così come l'avevo scritto – va in libreria il 24 settembre, poi succede quel che sapete. In quelle 238 pagine c’è la mia vita di sardo errante di lavoro in lavoro, operaio e giornalista, scrivo recensioni d’arte anche per Il Giornale di Indro Montanelli. I pezzi non li firmavano, non pagavano, l’abusivato era legge nei quotidiani e non solo, smetto, incassavo di più facendo il magazziniere fra i pallets dei supermercati».

MISTICA OVINA. Cita un bel pezzo uscito su La lettura del Corriere dal titolo: «Solo i matti da legare sono sani di mente». «Ermanno Paccagnini ha detto che col libro sui bambini esploro il mondo del thriller più di quanto avessi fatto col cinghiale. Scrivo di getto. Racconto la mia vita, tormenti e gioie». Coglie due pere e annuncia il titolo del nuovo libro. «Credo che sarà “Il catechismo della pecora”, con tanta Sardegna e tanta Italia contemporanea». Mistica ovina e cronaca politica. «Ricordo i fatti di Praga, avevo dieci anni. Un comunista jerzese tutto d'un pezzo – Giovanni Depau – diceva che i carri armati russi erano un’invenzione della Cia, una volta aveva tentato di dare uno schiaffo anche a Francesco Cossiga troppo amerikano».

IN SEMINARIO A LANUSEI. Infanzia tutta sarda e agropastorale (il padre Antonio «pastore fino a 38 sui monti di Lanusei, poi contadino e sposa mia madre, sono il più grande di sei figli»). Le medie in seminario a Lanusei «dove avevamo ritmi pazzeschi di studio. Ogni giorno dalle 14 alle 15 a tradurre dal latino Terenzio, dalle 16 alle 17 educazione fisica all'aperto sotto il sole o sotto la grandine, più stoici che asceti con fede al martirio». La svolta arriva con un ottimo insegnante di filosofia al liceo, Ninetto Corona («mi aveva regalato un libro di Friedrich Nietzsche»). L'università a Cagliari, ama l'antropologia, sono gli anni di Alberto Maria Cirese e degli allievi Pietro Clemente e Giulio Angioni («mi aveva dato 30 e lode, lo cito nella Teologia»), ci sono Clara Gallini ed Enrica Delitala. Poi, Sardegna a si biri ed ecco la metropoli, Milano. Magazziniere nel 1979, Némus metallurgico per aziende meccaniche e farmaceutiche.

CASA A SAN SIRO. «Negli anni della Milano da bere bussavi alla porta di una fabbrica e il giorno dopo indossavi la tuta. Zona privilegiata quella fra Rho e Pero, oggi deserto ex industriale post Expo, terre comprate dai Moratti della Saras. Sette anni nella catena Giesse, spostavo pedane di pasta e carta igienica». Sposa Simonetta De Matteo («felicissima in questa campagna sotto il cielo sempre blu»). Arriva l'editoria. Correttore di bozze alla Erre Edizioni, comunicati stampa a pagamento, due soldi. Lavora per un quotidiano: «Sapevo che non avrei mai fatto 18 mesi di praticantato e batto in ritirata. Torno al lavoro usato, di tutto e di più, ma pagato meglio, in contanti».

LA OLIVETTI 26. Questa volta l’approdo è Fininvest, Il Biscione. «Mai un provino, c’è feeling con Beppe Recchia, mi dice che sono nato sul palco, a “Buona domenica” si fanno sette milioni di spettatori, nel 1997 Telemontecarlo con cinque puntate a “Drive In”, ma guadagno poco e rifaccio l'operaio, sto sempre al Nord, non ho passaporto, non ho carta di credito, il bancomat è smagnetizzato. Casa a San Siro. Qui scrivo con una Olivetti lettera 26, lavoro dalle 3 alle 8 del mattino, sono le ore della riflessione pacata e della razionalità».

BIRRA E MISERIA. Non è tenero Némus nei giudizi sulla Sardegna e sull'Italia: «Abbiamo la connessione veloce ma non strategia di crescita, viviamo male alla giornata, la Sardegna non ha più un leader ma soltanto classe digerente, incassa tutto, anche di essere privata di aerei e di navi, taglia scuole, accetta lo spopolamento, il mio paese ha perso duemila abitanti in vent'anni». Storico, sociologo, filologo. Ne “I bambini” Mèmus scrive: «Noi siamo sardi solo sui traghetti della Tirrenia e ci cumbidiamo di birra Ichnusa anche se nelle Bocche di Bonificio cacciamo l’anima». Oppure: «È più facile trovare un posto sulla navicella per Marte che sul Cagliari-Linate». Cita Antonio Simon Mossa che nel 1967 a Ollolai aveva detto: «Solo con l’autonomia politica ed economica possiamo inserirci nell’Europa confederale». Shardana, missili «e non c'è una corriera tra Cagliari e Nuoro», uranio («ma non potevano darci quello arricchito?») sperando che a qualcuno passi «la paturnia di dichiarare la guerra (anche letteraria)».

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