La Nuova Sardegna

«Un premio col nome di un mito»

di Fabio Canessa
«Un premio col nome di un mito»

Stefano Accorsi ha ritirato ieri alla Maddalena il riconoscimento intitolato a Gian Maria Volonté

30 luglio 2016
4 MINUTI DI LETTURA





INVIATO ALLA MADDALENA. Riportata anche sulla sua pagina Facebook per condividere la bella notizia con i fan, la prima reazione al momento dell'ufficialità non poteva che essere un esultante «Vaccaboia!». L’esclamazione che accompagna tante battute del personaggio interpretato nel film “Veloce come il vento”, diretto da Matteo Rovere, grazie al quale ha vinto quest’anno il Nastro d’argento. Non il primo riconoscimento (può vantare anche una Coppa Volpi a Venezia) nel corso di una carriera iniziata ormai 25 anni fa. Un percorso artistico il cui valore trova un’altra conferma con il Premio Gian Maria Volonté, molto significativo per chi fa l’attore perché intitolato a un grandissimo della recitazione.

Un emozionato Stefano Accorsi lo ha ritirato ieri alla Fortezza I Colmi, nella serata più attesa della tredicesima edizione del festival “La valigia dell’attore” organizzato dall’associazione Quasar. «Un riconoscimento bellissimo – racconta Accorsi – che porta il nome di uno dei miei miti».

Cosa significa per lei Gian Maria Volonté?

«Per chi fa lo stesso mestiere è stato e continua a essere una grande fonte d’ispirazione. Un attore che ha fatto un percorso assolutamente personale, che lavorava ai suoi personaggi in un modo incredibile. Spesso la cosa più bella dei film nei quali ha lavorato, la cosa che uno ricorda, è proprio l’interpretazione di Volonté. Uno di quegli attori che lasciano un segno, che colpiscono molto perché oltre all’enorme talento aveva questo rapporto profondo con il lavoro. Era un attore che partecipava al progetto, alla concezione del film. Ed estremamente in contatto con la società».

Il film che porta nel cuore tra i tanti che ha interpretato?

«Sicuramente “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” è uno di quelli che mi ha colpito di più. Un film assolutamente non datato, cinematograficamente di altissimo livello. Che era stato anche uno dei primi incassi della stagione. Dato che ci fa anche capire che erano anni in cui dal cinema si richiedevano un certo tipo di cose».

Uno dei tanti casi, quello del capolavoro di Petri, in cui Volonté dimostra un incredibile capacità di trasformazione. Anche lei nel suo ultimo film, “Veloce come il vento”, ha sorpreso pubblico e critica per la grande trasformazione.

«Per questo sono ancora più felice che un premio così sia arrivato proprio quest’anno, dopo l’uscita di un film come “Veloce come il vento” che mi ha richiesto una trasformazione fisica di un certo tipo, e non solo».

Ha dovuto quindi lavorare maggiormente sul personaggio rispetto ad altri film che ha fatto?

«C’è stato un lavoro più visibile perché rivolto a dar vita a un personaggio che richiedeva anche un aspetto particolare, che fosse conseguenza di tutto un percorso psicologico, emotivo. Però mi è capitato di lavorare molto anche su altri personaggi, che magari sono sottili come impatto e il lavoro può essere meno evidente».

Ma è cambiato negli anni il suo approccio ai personaggi, il modo di prepararli?

«Forse in passato mi affidavo molto di più solo al regista. Adesso riesco a coniugare meglio le due cose, la preparazione personale e il rapporto di scambio, il confronto con il regista. Negli ultimi anni poi mi è servito molto il lavoro con la coach Anna Redi. Ho collaborato con lei anche per certi aspetti del film “L’arbitro” di Paolo Zucca».

Che ricordi ha del lavoro con il regista sardo?

«Con Paolo è stato un incontro molto felice. Intanto abbastanza casuale. Ci siamo infatti incrociati nella hall di un albergo e in quell’occasione me ne ha parlato, io ho visto il suo cortometraggio dal quale partiva il progetto e l’ho trovato geniale. Delle riprese ricordo la fatica per il gran caldo, ma è stato bellissimo lavorare con Paolo. Abbiamo anche cercato di collaborare di nuovo, ma ancora non siamo riusciti a trovare l’occasione giusta».

E adesso anche lei dirige a volte. Qua al festival della Maddalena è stato proiettato il suo cortometraggio d’esordio “Io non ti conosco”.

«Il mio primo passaggio dietro la macchina da presa. Ricordo la tensione, ero eccitato ma anche preoccupato. Sono due lavori diversi. Per fortuna sono riuscito a circondarmi da una serie di professionisti con i quali avevo già avuto la fortuna di lavorare. Dal direttore della fotografia alla stessa Vittoria Puccini che mi ha regalato questa interpretazione».

Iniziare a lavorare anche dietro la macchina da presa cosa ha portato al suo lavoro d’attore?

«Passare dietro la macchina da presa o lavorare anche ad altri aspetti del cinema che possono essere quelli della scrittura o della produzione, cambia anche la visuale sul tuo lavoro d’attore. Sono esperienze che ti fanno capire meglio la complessità del fare un film, difficoltà della quale da attore non ti rendi conto fino in fondo. Per me è stato molto bello, utile e istruttivo».

E adesso sta già lavorando a qualche nuovo progetto come attore?

«Sto preparando il nuovo film di Sergio Castellitto che cominceremo a girare a fine agosto. E subito dopo passerò sul set di “1993”. La seconda stagione, dopo “1992”, della serie tv per Sky».

In Primo Piano
Elezioni comunali 

Ad Alghero prove in corso di campo larghissimo, ma i pentastellati frenano

Le nostre iniziative