La Nuova Sardegna

«La grande lezione del Duca Bianco»

di Walter Porcedda
«La grande lezione del Duca Bianco»

Rocce Rosse & Blues, omaggio a Bowie con Assante e Castaldo

28 luglio 2016
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CARDEDU. L’epilogo della più avvincente saga del pop, quella dei Beatles e del loro ultimo album “Abbey Road”, la vita di uomo e artista di una stella luminosa come quella di David Bowie sono il cuore delle due lezioni di rock tenute dai due giornalisti di “Repubblica” Ernesto Assante e Gino Castaldo, ospitate dal festival “Rocce Rosse” a Marina di Cardedu: oggi alle 21 la prima lezione, la seconda sabato all'indomani del concerto di Paolo Fresu con Omar Sosa e Jacques Morelembaum. Assante e Castaldo guideranno il pubblico con ascolti, immagini e filmati, molti di cui inediti o quasi, in un viaggio imperdibile dietro le quinte di storie di personaggi di culto come il Duca Bowie, scomparso pochi mesi fa e che visse la musica e la vita come fossero un’opera d'arte.

«Il filo rosso della prima lezione – spiega Gino Castaldo – oltre a cogliere i vari aspetti del prisma Bowie è proprio di capire come questo personaggio sia riuscito a trasformare la propria vita in un'opera d'arte culminata con un finale sconvolgente come la sua scomparsa».

Bowie geniale anticipatore di tendenze è stato forse il più iconografico artista musicale del nostro tempo: riassume in sè la pop art di Andy Warhol e la più sofisticata visual art.

«Sì, assolutamente. La novità di cui si fece portatore è la consapevolezza di aver trasformato il lavoro di musicista in un'opera a più livelli. Oggi si direbbe multimediale. E teatrale. Nel senso che comprendeva musica, ma anche visioni, costumi, danza, gestualità. Con due grandi punti di riferimento. Uno era appunto Warhol e l'altro il mimo Lindsay Kemp: due poli che l'hanno messo sulla strada giusta».

Bowie primo artista multimediale della nostra epoca.

«Il primo almeno che ne ebbe consapevolezza d'artista» .

Musicalmente l'autore di “Space on Mars?” ha attraversato diverse fasi, dal folk alla psichedelia, dall'elettronica all'ultimo album capolavoro “Blackstar” dove presta attenzione alle atmosfere più recenti del jazz.

«Di base, altra sua caratteristica che cercheremo di mettere in luce stasera, era di essere un esploratore. In realtà poteva utilizzare qualsiasi genere. Ciò che contava era la visione finale. Su quella calibrava i suoni e gli arrangiamenti. Bowie era un maestro, non tanto nel creare universi musicali, anche perchè quello lo facevano altri (non era un Pink Floyd per capirci) ma nell'assemblare mondi diversi collocandoli in una luce nuova. Così costruiva opere che influenzavano lasciando il segno per gli anni a venire. E' stato così per Ziggy Stardust che ha fatto nascere una intera stagione di glam rock, così con la svolta berlinese che decise i suoni per i dieci anni successivi. Ma anche “Scary Monster” del 1980 diede spazio al soul bianco. Scelte e assemblaggi che lasciavano un segno indelebile».

In questo Bowie fu anche il primo e cosciente artista postmoderno.

«Colpisce di lui la consapevolezza. Come la sovrapposizione tra arte e vita. Rileggendo le sue dichiarazioni ci si rende conto come fossero studiate. E un altro atto geniale fu la sua biografia intesa come opera d'arte, in parte mitica e in parte inventata, si componeva man mano come una creazione».

“Abbey Road” dei Beatles, oggetto della lezione di sabato, è invece un'altra storia che contribuisce ad alimentare il mito dei Fab Four. A partire da quello scatto che immortala i quattro musicisti mentre attraversano la strada. Una foto diventata leggenda..

«Pensare che vorrebbero trasformare quelle strisce in monumento nazionale. E' diffusa la voglia di trasformare in mitologia tutto quanto appartenga alla neocultura pop. Quella copertina, nella sua semplicità è forse la più indagata e vivisezionata della storia».

Per non parlare della telecamera degli Studi di registrazione Abbey Road puntati proprio su quelle strisce e che talvolta sono andate in tilt per il numero di persone che si collega in streaming, forse nell'attesa che rispuntino i Beatles.

«Il legame tra i quattro era forte e profondo anche nell'attimo in cui si stavano separando. Era un momento di grande infelicità perchè si rendevano conto che stava finendo qualcosa di importante. Ma quell'album fu anche una prova di orgoglio. Dopo un anno orribile scattò qualcosa, una magia incredibile, e i Beatles composero assieme la cosa più poetica che abbiano mai inciso».

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