La Nuova Sardegna

Letteratura e cinema, la doppia vita di Meacci

di Fabio Canessa
Letteratura e cinema, la doppia vita di Meacci

Lo scrittore domani a Sassari per “Sulla terra leggeri”

26 luglio 2016
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SASSARI. Non siamo «nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda». Ma a Corsignano, paese (immaginario) al confine tra Toscana e Umbria che diventa protagonista di una storia, fortunatamente pubblicata. La parafrasi, un po’ ardita, non sorprenderà chi conosce quel gran film di John Ford intitolato “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Gioca infatti su uno dei dialoghi simbolo del famoso western con protagonisti John Wayne e James Stewart, capolavoro del cinema con il quale ha “giocato” anche Giordano Meacci nel suo nuovo romanzo arrivato tra i finalisti del Premio Strega: “Il cinghiale che uccise Liberty Valance” (minimun fax). Libro che presenterà domani mattina a Sassari al centro culturale L’Ultimo Spettacolo (corso Trinità 161), dialogando con Lorenzo Pavolini. L’appuntamento è alle 10.30 e non sarà l’unico con Meacci al festival letterario “Sulla terra leggeri”. In serata, alle 21.30, sarà infatti intervistato da Giorgio Cappozzo sul film “Non essere cattivo” di Claudio Caligari che ha scritto insieme al regista scomparso un anno fa e Francesca Serafini, anche lei presente a Sassari (a seguire proiezione del lungometraggio). «Sono molto contento di questo doppio appuntamento» racconta al telefono lo scrittore e sceneggiatore romano, alla vigilia del viaggio per la Sardegna.

Partiamo dal romanzo: il protagonista è un cinghiale, come l’è venuto in mente?

«Ho vissuto parte dell’infanzia tra Toscana e Umbria, da dove vengono i miei. Terra di cinghiali. Per me sono diventati una specie di totem e quando mi sono immaginato una storia che poteva svilupparsi in questo modo, l’unica figura che mi sembrava significativa era quella del cinghiale».

Storia che per chi non ha letto ancora il libro come definirebbe?

«Il romanzo di formazione di un cinghiale. Al quale però regalo una vita da dissociato. All'improvviso può capire quello che dicono gli uomini e questo finisce per condannarlo alla marginalità. Da un lato non è più in grado di tornare cinghiale tra i cinghiali, tutto quello che cerca di spiegare in cinghialese ai suoi compagni non viene capito perché lui comprendendo il linguaggio degli umani ha una nuova visione dell’universo. Però d’altra parte non è un cinghiale che parla. Continua a grugnire. Viene vissuto dagli esseri umani come una bestia».

Ma come avviene questa metamorfosi?

«Per motivi imperscrutabili anche me, a un certo punto della sua vita ha un’illuminazione: da una collina vede attraverso una finestra un televisore che sta proiettando “L'uomo che uccise Liberty Valance”, il film di John Ford».

E c’è un film che lei ricorda come un’illuminazione?

«La prima illuminazione artistica che ho vissuto è stata a quattro-cinque anni la visione del film “Improvvisamente l’estate scorsa”. Non capivo perché quella cosa mi attraeva, ma era qualcosa che aveva a che fare con l’arte».

Però per il romanzo ha scelto il western di Ford.

«Un altro film fondamentale della mia vita, ed è legato in qualche modo alla storia. In particolare il tema dell’accettare della responsabilità di fare la scelta giusta. John Wayne fa esattamente questo: perde la donna che ama, si macchia di un omicidio e vive nell’anonimato perché è la cosa giusta da fare».

Quindi il suo cinghiale somiglia più a John Wayne che a James Stewart?

«Per certi versi a entrambi. C’è anche il senso della giustizia, dell’ordine, di un democratico illuminato come il personaggio di Stewart».

Insomma c’è tanto cinema nella sua scrittura.

«Sono plasmato dalla vita che vivo normalmente, e questa è fatta anche di cinema. I film che mi colpiscono diventano parte di me».

E li scrive anche. Come “Non essere cattivo”.

«Sono due dimensioni diverse. Il cinema è un arte corale con un direttore d’orchestra, il regista. In questo caso un maestro qual era Caligari. Però la sceneggiatura è spesso un lavoro collettivo. Se si forma la giusta armonia, com’è capitato a noi, è davvero una sensazione bellissima dividersi i compiti e confrontarsi».

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