La Nuova Sardegna

Gli anni ’30 degli anticlassici

di Paolo Curreli
Gli anni ’30 degli anticlassici

L’arte di Salvatore Fancello e la straordinaria collezione di Angelo Tilocca

22 luglio 2016
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ORANI. Il museo Nivola di Orani inaugura, oggi alle 18, in contemporanea due mostre storiche piuttosto impegnative, “Il mito quotidiano. Arte italiana del 900 dalla collezione Tilocca” e “Salvatore Fancello. La forma inquieta”. Ne parliamo con la presidente della Fondazione Nivola Giuliana Altea e la direttrice del museo Antonella Camarda curatrici delle mostre.

Come mai questa scelta?

Altea: «Tutte e due hanno per tema l’arte italiana tra le due guerre, solo che ne esaminano due aspetti diversi. Il mito quotidiano presenta il versante classico di quel periodo, con quadri e sculture che evocano atmosfere sospese, incantate, fuori dal tempo, che riscoprono una dimensione mitica del vivere, calata però nella realtà quotidiana. Salvatore Fancello ricostruisce, attraverso il percorso di un artista morto giovanissimo, il lato anticlassico degli anni trenta: forme dinamiche, fermentanti, cariche di tensione esistenziale. Le due mostre esplorano una fase complessa e affascinante dell’arte italiana».

Camarda: «Inoltre tutte e due sono mostre-omaggio: Il mito quotidiano ricorda Angelo Tilocca, una figura significativa della cultura sarda, collezionista, intellettuale, impegnato nell’arte e nel sociale, scomparso improvvisamente l’anno scorso; Salvatore Fancello non solo celebra l’artista di Dorgali nel centenario della sua nascita, ma è dedicata all’amicizia che legava lui e Costantino Nivola. Un sodalizio che durò oltre la partenza di Nivola per l’America nel 1938 e oltre la stessa morte di Fancello».

Una collezione di questo tipo è insolita Sardegna, dove la gente compra soprattutto gli artisti locali. Qual’era il mondo di Angelo Tilocca?

Altea: «Angelo Tilocca aveva non soltanto fiuto, sensibilità e intelligenza, ma anche un gusto ben preciso che lo ha guidato nel creare la sua collezione. Era interessato a opere figurative, prevalentemente dalla forme compatte, statiche e bloccate, dotate di una certa monumentalità. E queste qualità le trovava non solo in solo grossi nomi come De Chirico, Sironi, Campigli, Martini o Manzù, ma anche in artisti meno noti, “di nicchia” come diceva lui. Ad esempio il romano Luigi Trifoglio o il triestino Bruno Croatto, che oggi sono per il visitatore autentiche scoperte. Andava alla ricerca di opere con una storia particolare, magari legate a personaggi famosi della cultura: ad esempio il ritratto di Massimo Bontempelli di De Chirico, omaggio del “pictor maximus” al teorico italiano del realismo magico; o la testa di Cesarina Gualino di Manzù, che ritrae la moglie dell’industriale Riccardo Gualino, mecenate e artista lei stessa».

Passare dalle sale del Mito quotidiano a quelle su Fancello significa cambiare completamente atmosfera. Quali aspetti avete privilegiato dell’opera di Fancello?

Camarda: «Abbiamo voluto darne una visione completa, presentando tanto le ceramiche – l’aspetto più seducente del suo lavoro – quanto i disegni, dei quali esponiamo alcuni preziosi inediti: ad esempio un grandissimo Bestiario noto finora solo dalla sua foto su Domus del 1941, o l’intera serie degli studi per il Presepe di Albisola del 1938. Anche fra le ceramiche ci sono pezzi mai visti prima, come il Rinoceronte appartenuto a Franco Albini o un bellissimo Cinghiale del 1938. Ma soprattutto abbiamo puntato a contestualizzare l’opera di Fancello inserendola nel clima culturale del suo tempo, nell’ambiente dell’Isia di Monza e poi nella Milano delle Triennali, dell’Olivetti, dell’architettura e del design modernista. E’ questo lo scenario che ha visto maturare l’arte di Fancello come quella di Nivola. Fancello è senza dubbio un “caso” eccezionale di talento naturale, ma è anche un artista che si è nutrito alle fonti più vive della cultura del suo tempo».

Altea: «Fondamentale da questo punto di vista è l’allestimento progettato da Alessandro Floris,che si ispira ai celebri allestimenti degli architetti razionalisti milanesi degli anni Trenta: una struttura a griglia ortogonale di montanti in ferro e di ripiani che scandisce rigorosamente lo spazio della mostra».

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