La Nuova Sardegna

il tour sardo

Il canto di rivolta di Marco Rovelli

di Grazia Brundu
Il canto di rivolta di Marco Rovelli

Un nuovo album e un nuovo libro, “La guerriera dagli occhi verdi”

29 maggio 2016
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SASSARI. “Canto per i ragazzi e le ragazze di Suruc” dice così: «Benedetto sia chi lotta e sorride di bellezza, che conserva dentro il pugno tutta la sua giovinezza». Marco Rovelli, nato a Massa quarantasette anni fa, cantautore, giornalista e scrittore (si è occupato, tra altri temi, di centri di permanenza temporanei e di lavoro clandestino), l’ha scritta a luglio dell’anno scorso. Subito dopo la strage nella città, appunto, di Suruc, dove una kamikaze diciottenne dell’Isis fece saltare in aria trenta ragazzi curdi. Colpevoli solo di impegnarsi, politicamente, per il proprio popolo: 20 o 30 milioni di persone senza Stato, dislocate tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, perseguitate, in passato, da dittatori come Saddam Hussein e ora mal tollerate da governanti autoritari come il premier turco Erdogan. Il “Canto”, in questi giorni Rovelli lo sta facendo ascoltare in Sardegna: dopo Sassari e Oristano, stasera dalle 19 è al bar Florio di Cagliari.

Rovelli suona, accompagnandosi alla chitarra, anche il suo ultimo cd, “Tutto inizia sempre” (candidato alla Targa Tenco) e legge brani dal suo romanzo più recente: “La guerriera dagli occhi verdi” (Giunti), dove ricostruisce, tra reportage e immaginazione, la storia della combattente curda Avesta Harun, uccisa a venticinque anni da un miliziano dell’Isis durante la riconquista di un villaggio. Canzone, album e libro seguono la doppia stella polare di amore e utopia. Molti brani, infatti, sono dedicati a sognatori recenti e del passato. Dal padre di tutti i visionari (“Noi, Chisciotte”) al giovane attivista Vittorio Arrigoni (“Utopia”), dal patriota Carlo Pisacane innamorato dell’Italia da costruire e della sua Enrichetta (“L’amore al tempo della rivolta”) alle visioni profetiche di Pasolini e al suo «Mediterraneo solcato da persone vestite da stracci asiatici e da camicie americane». Fino a “Danse macabre”, un invito a cambiare il mondo senza perdere la felicità: «Una rivoluzione in cui non si danza non è una rivoluzione».

Proprio quello che pensava anche Avesta Arun, la guerriera dagli occhi verdi. Rovelli, che nel libro raccoglie le testimonianza dei suoi compagni di lotta, sottolinea che «Avesta, da ragazzina, si avvicinò alla tradizione del suo popolo proprio grazie ai balli tradizionali, proibiti dagli Stati in cui vive la minoranza curda, così come, almeno fino agli anni Novanta, a scuola era proibito parlare curdo». La cultura tradizionale, spiega Rovelli, è uno dei capisaldi dei resistenti Curdi. Però, la loro, non è un’accettazione cieca delle usanze tramandate di padre in figlio. «Una delle questioni fondamentali infatti –spiega Rovelli – è l’emancipazione femminile. Un valore difeso anche da Ocalan, il leader del PKK, nei suoi libri scritti dal carcere, in Turchia. Una visione che va contro il potere feudale dei clan, considerati esecutori e mandanti dello Stato turco. Un’altra cosa che mi ha colpito molto è vedere quanto tempo i guerriglieri dedicano a leggere, a conoscere ciò che avviene nel mondo. E soprattutto alla condivisione, materiale e spirituale: una cosa a cui noi occidentali individualisti non siamo più abituati».

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